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Aggiornamento: 25 mar 2020

Dal Blog di Luca della Casa

https://www.linkedin.com/pulse/20140908194444-123659842-secondo-umberto-eco-inutile-inviare-manoscritti-se-non-si-%C3%A8-nessuno 📷 Luca Della Casa Owner, Designdcl Secondo Umberto Eco: inutile inviare manoscritti se non si è nessuno... Sep 8, 2014 · 1,369 views · 1 Like

Umberto Eco, uno dei miei autori preferiti, giustificava l’ostracismo dei grandi editori, il clientelismo e l’esistenza dei cortiletti intellettuali. Burp. In ogni modo, “Il nome della rosa” e “Il pendolo di Foucault” non avrebbero mai visto la luce senza la sua precedente attività come “tuttologo” e galletto nel pollaio. D’altra parte, come lui stesso afferma, non senza una certa arroganza: “E se il vicino di casa di Proust fosse stato tanto più bravo di lui e nessuno se ne fosse accorto. Per lui sarebbe tristissimo, per l'umanità basta Proust, e avanza." Riporto il pezzo del “Genio”, per chi non l’avesse letto. Meditate gente, meditate. Però se vi piace scrivere/leggere non lasciatevi avvilire: che si fottano i cortiletti stantii e forforosi ;P Caro XYZ, Rispondo volentieri al suo messaggio perché spero così di raggiungere altre persone che si trovano nella sua situazione, per dire loro candidamente come vanno le cose a questo mondo. Vengo anzitutto alla sua ultima richiesta, se io sia disposto a leggere il suo manoscritto. La risposta è no, e le ragioni sono tutte ispirate a un profondo principio di lealtà. Io (ma questa situazione è comune a molti scrittori e studiosi di una certa notorietà) ricevo ogni settimana almeno una decina di manoscritti (spediti da persone che non hanno avuto la delicatezza di fare come lei, e chiedermi prima se potevano inviarlo), dei generi più svariati, in gran parte racconti e romanzi, ma anche opere storiche o addirittura dimostrazioni sull'esistenza di Atlantide o del continente scomparso di Mu. A questi si aggiungono bozze di libri inviati liberalmente da editori stranieri che chiedono un blurb, e cioè una di quelle frasi di raccomandazione dell'opera che si stampano poi sull'ultima di copertina o in fascetta. Dieci manoscritti alla settimana fanno 520 all'anno. Una persona come me, che fa il professore universitario, dirige una rivista scientifica e due collane specializzate, è tenuto a leggere (e correggere, e rileggere) tesi di laurea voluminosissime e manoscritti inviati per la pubblicazione, per dovere d'ufficio, oltre a seguire quanto si pubblica nel proprio campo, per tenersi dovutamente aggiornato (anche se la mole di materiale che arriva è anche quella insostenibile). Anche a volersi eroicamente occupare degli altri manoscritti in arrivo, si può dedicare al massimo (diciamo) due ore giornaliere, strappate al sonno, alla lettura di tale materiale - a parte il fatto che, dopo aver letto per obbligo centinaia di pagine, ballano gli occhi. Tenuto conto che per leggere (bene) un manoscritto che può andare da cento a quattrocento pagine, anche procedendo a tre minuti a pagina (che è lo standard della lettura veloce ad alta voce), calcolando un libro medio di 250 pagine, saremmo a dodici ore, e quindi 24 giorni per libro, i conti sono facili da fare. 24 giorni per 250 libri fa 4000 giorni, e l'anno ne ha 365. Pertanto chiunque (che non faccia il mestiere full time di lettore per una casa editrice), ricevendo un manoscritto promette di guardarlo, mente. Al massimo lo annusa, ne legge le prime righe, ed emette un giudizio evidentemente poco fondato. A me non piace ingannare la gente in questo modo. La informo di un altro particolare, su cui nessuno ha mai detto la verità. Quando l'autore noto di una casa editrice invia alla direzione un manoscritto che ha ricevuto, dicendo che vale la pena di prenderlo in considerazione, rarissimamente gli si dà ascolto. Vige la persuasione che l'autore noto abbia rifilato loro qualcuno che lo stava sottomettendo a molte pressioni e che se la sia cavata in quel modo. È triste ma è così. Passiamo ora alle case editrici. Per antica e fondata esperienza non credo alle case editrici che sollecitano manoscritti. Di solito cercano autori a pagamento, sono disposte a pubblicare qualsiasi cosa e se non rispondono è perché ne hanno già troppa. Sul funzionamento di queste case si veda cosa racconto nel mio Pendolo di Foucault a proposito del signor Garamond. È un romanzo, ma fondato su fatti reali. Una casa editrice seria e importante, che non sollecita pubblicamente manoscritti, ne riceve comunque tantissimi - certamente cento volte più di quanti ne riceva io. Di solito (ma non esiste una regola generale) cerca di farli guardare tutti. È improbabile che li possa leggere il direttore editoriale (altrimenti non avrebbe tempo per dirigere), e spesso li si affida a lettori esterni. Quando lavoravo in una casa editrice ne conoscevo uno, intelligentissimo e con una penna intrisa nel vetriolo, che passava la giornata sdraiato sul letto e leggeva tutti i manoscritti che riceveva. Queste letture gli venivano pagate con molta parsimonia, ma tutto sommato così campava. Li leggeva davvero, e mandava giudizi di fuoco - anche se qualche volta esprimeva rispetto e ammirazione per qualche testo. In casa editrice si faceva fatica a leggere tutti i giudizi, di una o due cartelle, che costui inviava giorno per giorno. Io adesso non ricordo bene (anche perché di solito i manoscritti in arrivo sono di carattere narrativo, e io mi occupavo solo di saggistica) ma non ho presente alcun manoscritto che sia poi diventato un libro. Perché? Anzitutto si legga il gustoso libretto di Fabio Mauri, I 21 modi di non pubblicare un libro (Bologna, Il Mulino, 1990; per questo libro ho scritto una prefazione: Chi manoscrive è perduto). Riassumendo, un bravo editore è ansioso di scoprire nuovi talenti ma non si fida dell'autore che spunta improvvisamente dal nulla. Va cercare il talento là dove si forma, così come avviene nello sport, ed è raro che qualcuno arrivi ad essere assunto come centravanti della Juventus se non è stato scoperto e apprezzato mentre giocava in una squadra di serie B, e prima di serie C, e prima ancora nella squadra della polisportiva locale o dell'oratorio salesiano. La vita letteraria, almeno dai tempi di Catullo sino a oggi, è fatta di gruppi, di persone anche giovanissime che s'incontrano e si scambiano i loro lavori, poi li pubblicano su una piccola rivista, poi su una più nota, e passano, per così dire, una prima selezione da parte dei loro pari. Ed è lì che l'editore va a cercare le personalità interessanti. È verissimo che può esistere anche il genio sconosciuto, che vive in un paesino isolato dal mondo, ma di solito ogni attività "creativa" si svolge tra gli altri, e in questo modo si affrontano i primi giudizi, si impara. Se un editore cerca qualcuno capace di fargli una buona biografia di Giulio Cesare, va a sfogliare le riviste di storia, o i programmi dei convegni sulla storia romana. Solo così sa che una persona, che sostiene di essere esperta su Giulio Cesare, è già stata valutata da chi segue queste cose, e ha così una prima garanzia. Ma lo stesso avviene anche per i giovani poeti, che incominciano ad apparire su piccole riviste di poesia, o ricevono il premio di poesia per i liceali di Roccacannuccia, e iniziano a farsi conoscere. Se non hanno saputo arrivare almeno sino a quel punto, dove stavano, con chi si misuravano? Il genio solitario non è mai escluso, ma quando si legge di scrittori ignorati in vita e scoperti dopo la morte, esempio massimo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si vede che in vita frequentavano cenacoli letterari, erano stimati da molti scrittori magari meno bravi e più fortunati di loro, non erano affatto dei selvaggi spuntati dal nulla. Raramente un grande giornalista è arrivato al quotidiano nazionale senza prima aver mostrato le sue qualità sulla gazzetta locale, o addirittura sul bollettino parrocchiale. Chieda ai grandi giornalisti. Le diranno tanti che hanno fatto una lunga gavetta e solo così sono diventati poi notissimi - anche perché far la gavetta vuole dire migliorare lentamente giorno per giorno. Questa persuasione, che gli editori hanno, che di solito è meglio cercare i futuri campioni in palestra, è giusta, e il più delle volte ha funzionato. Quindi, ai giovani che mi chiedono come fare pervenire un loro manoscritto al grande editore, io dico di non bruciare le tappe, e iniziare a farsi conoscere tra quelli che, come loro, scrivono, e pubblicano lentamente le loro prime prove. Potrei aggiungere che io, neppure da giovanissimo, ho mai mandato manoscritti a case editrici. Ho aspettato che un editore, leggendomi altrove, mi abbia proposto di fare qualcosa. È passato del tempo, ma ho sempre sostenuto che se sei caporale devi darti da fare per diventare sergente, senza voler diventare generale di un colpo. Se poi qualcuno dice orgogliosamente che non vuole sottoporsi al giudizio dei suoi pari ma è disponibile solo per il grande editore, e non vuole fare gavette, perché è convinto di avere scritto un capolavoro (e magari è vero) deve anche pagare per il suo legittimo orgoglio, e spesso accontentarsi di avere scritto un capolavoro, anche se gli altri non gli danno retta. Aspetti la riscoperta dei posteri, nella storia è accaduto. Passiamo alle lettere degli editori. Un editore che non risponde all'invio di un manoscritto (anche se qualche tempo dopo, perché abbiamo visto che, se lo fa leggere, gli ci vuole del tempo) è scortese. Un editore che risponde con la formula solita ("i nostri programmi sono già definiti per due anni"), è un editore per bene, e nessuno può lamentarsi se ha fatto il suo lavoro, che è anche quello di respingere almeno l'ottanta per cento delle proposte che gli arrivano. Quanto alla sua richiesta di ricevere almeno un giudizio sincero come "la sua opera è una schifezza", ho conosciuto redattori editoriali che scrivevano all'autore perché e dove la sua opera non funzionava, invitandoli a rivedere il lavoro, ma di solito ricevevano in cambio lettere di insulti. Una volta è accaduto a me di scrivere almeno tre cartelle di analisi critica per dire a un signore (distinto professionista) perché il suo lavoro non andava bene e cosa avrebbe dovuto fare per migliorarlo, e qualche tempo dopo quel signore mi ha mandato copia di lettera inviata a un celebre brigatista rosso in carcere, dove lo invitava a dire ai suoi compagni a piede libero di punire non solo i loro diretti avversari politici, ma anche i detentori del potere mafioso editoriale (io nella fattispecie). Questo spiega perché è più comodo per l'editore declinare il manoscritto con una lettera cortese senza compromettersi troppo. Inoltre, se non esiste una editoria di stato, come nei paesi sotto dittatura, una casa editrice è una azienda privata e ha il pieno diritto di pubblicare quello che vuole o che ritiene più redditizio (magari non sempre in termini di denaro, ma anche di prestigio). Se sbagliano, peggio per loro. Editori famosi hanno rifiutato opere, di grande valore letterario o di grande successo commerciale, come Via col vento, Il gattopardo, Il Tamburo di latta, Lolita, e via dicendo, mentre altri sono stati più accorti. Un editore francese, tra l'altro carissimo amico e lettore molto fine, mi ha rifiutato Il Nome della Rosa (per carità, non glielo avevo mandato io, semplicemente lo aveva visto in catalogo dall'editore italiano) dicendomi "la balena è troppo grossa e non può funzionare commercialmente". Invece un suo concorrente l'ha pubblicato, e gli è andata bene. È la vita editoriale. Ci sarebbe un modo per venire incontro all'autore solitario, evitandogli penose trafile? Forse c'è ma, dal secolo XV, quando è stata inventata la stampa, non è stato trovato. È certo che nei secoli hanno trionfato autori pessimi (ma poi i posteri hanno fatto giustizia), e sono stati lasciati cadere nel nulla autori bravissimi. In letteratura non vale il principio della selezione darwiniana, per cui sopravvivono solo i più forti (ma poi anche lì, perché hanno dovuto scomparire i dinosauri, che erano tanto buoni e simpatici?). Però, se ci voltiamo indietro, ci accorgiamo che tanti autori veramente importanti, che ai loro tempi avevano subito vari ostracismi, ci sono rimasti, e quindi si vede che in questa giungla, sia pure col sacrificio di tanti meritevoli innocenti, la vita è andata avanti in modo ragionevole. E se il vicino di casa di Proust fosse stato tanto più bravo di lui e nessuno se ne fosse accorto. Per lui sarebbe tristissimo, per l'umanità basta Proust, e avanza. So che con queste mie considerazioni non l'ho consolata. Ma, quando ero studente, un mio giovane maestro aveva fatto una conferenza intitolata "La filosofia non consola", e da quel titolo (anche se non ricordo il contenuto) ho imparato molto. Ci sono due modi di consolare: uno è di dare false illusioni, ed è disonesto; l'altro è di spiegare come vanno le cose a questo mondo, così che gli altri, anche se non intendono adattarsi all'andazzo corrente, sappiano almeno come si può reagire. UMBERTO ECO Poeta InAzione Sig. Luca Della Casa, vedo che qualcuno mette in dubbio il fatto che il professorone dei cortiletti stantii, forforosi "e solforosi"( aggiungerei io) le abbia inviato questa lettera, che lei ha ovviamente trascritto nel suo blog, commettendo il refuso del nome.Io invece mi fido di lei (perché avrebbe dovuto inventare una cosa del genere?), ma per evitare equivoci e illazioni le consiglierei di scansionare o fotografare la lettera di Umberto Eco e allegarla al suo post. Ma veniamo alla lettera. Alla terribile gavetta, ai dinieghi che ha dovuto subire il professor Eco… all'ostracismo suo! Ahi, che lettura infelice. Ma necessaria, e dobbiamo ringraziarla tutti, sig. Della Casa, perché è un pezzo che mancava alla nostra raccolta. Vorrei che tutti leggessero questa lettera e la commentassero come si deve, prendendo posizione. Vorrei che la leggessero gli studenti di Eco, i suoi collaboratori, ma soprattutto i tanti poeti e scrittori italiani che sono costretti a stare nell’ombra perché non hanno angeli protettori nel paradiso editoriale, o dovrei dire demoni, nell’inferno di questo nostro panorama culturale. Così dicendo io so di dichiarare tutta la mia rabbia e la mia utopia, la quale postula un ostracismo al contrario! L’ostracismo dei professoroni integrati nel sistema e piloti del sistema, degli scrittori che godono delle grazie della politica (Erri De Luca, Baricco, Tabucchi, Camilleri, etc.) e di tutto questo panorama infernale che è la cultura italiana odierna. Oggi in Italia chi scrive senza amici né raccomandazioni, non compromesso ma anzi volutamente estraneo al mondo editoriale delle leccate, delle serate, dei premi, delle rivistine dirette sempre dagli stessi… è necessariamente isolato. Mentre ai tempi della giovinezza di Eco, un poeta come Sandro Penna, completamente solitario,poteva affermarsi anche soltanto inviando i suoi manoscritti. Ed è stato così che Montale lo ha scoperto e lo pubblicato. E come lui molti altri. Ma allora c’erano i Montale, i Pasolini… Oggi invece abbiamo gli Eco. Il nostro Eco che non ha fatto gavetta, perciò non aiuterà mai un "gavettino". Lui che viene dal mondo accademico e là aveva già i suoi amici, i suoi colleghi, i suoi professori inclini, i suoi editori vicini.  Ma anche gli editori, negli anni ’60 e ’70, erano molto più seri, coraggiosi, e tenevano al nuovo, al genio, non solo ai classici da stampare e ristampare, magari anche con il gadget in regalo; per il puro denaro, per il controllo sul mondo. Il nostro principe dei cortili stantii non ha dovuto fare alcuna gavetta e non ha dovuto patire questo ostracismo a cui noi scrittori e poeti italiani di oggi siamo costretti. Certo, da una parte stiamo meglio, perché restiamo nella nostra acqua di alta montagna, sconosciuta e perciò anche limpida. Ma le nostre opere (non solo i testi, ma le nostre stesse azioni di persone) si avviliscono, così non lette e non diffuse. E in special modo se sono opere civili, indirizzate a destinatari vivi e attuali, non astratti o futuri. I nostri apporti alla società vengono arrestati, impediti, e lo dico per un senso più ampio dell'essere scrittori, ben al di là della mera pubblicazione (!).  Lei lo sa, caro Della Casa, che qualche anno fa ho vinto un premio di poesia ma non l’ho mai ricevuto? Una pubblicazione monografica che non mi hanno mai dato!?  Ed ho almeno venti lettere di case editrici (anche molto note) che mi fanno proposte editoriali molto sibilline e tutte a pagamento. Ho anche una lettera della Campanotto editore scritta per metà al computer per metà a penna; nella seconda metà nominano il denaro che devo versare. Denaro che ovviamente non ho mai versato! poiché non ha senso essere riconosciuto come “scrittore pagante”, ma ha senso solo essere riconosciuto come scrittore “meritevole”. Altro che il libro di Mauri, io consiglierei gli Annuari di Giorgio Manacorda! Prima che il critico militante smettesse di militare, i suoi annuari sullo schifo del mondo editoriale italiano odierno erano una cosa preziosa, almeno quanto i libri di Daniel Estulin sul club Bilderberg e sulla Potenza.  Lo stesso poeta e critico Giorgio Manacorda fu caldeggiato da Pasolini (vedi "L'io che brucia", raccolta di poesia), che leggeva e aiutava gli scrittori nuovi senza chiedere niente e senza lamentarsi, per puro senso civile e progressista. Qui invece siamo,come dice bene lei, allo stantio, al chiuso dei cortiletti universitari, editoriali e politici. E a proposito di ambienti chiusi ed elitari, sapeva che il sig. Eco è membro dell'Aspen Institute, dove s'incontra con D'Alema, Fini, Tremonti e altri soggetti sporchissimi tra industriali, editori, grandi società private? Tramano “sulfureamente” dietro le nostre spalle, e poi ci danno lezioni di vita. Ma nel nostro pantano sono implicati anche molti scrittori e poeti primedonne! Ci metterei pure quell’Elio Pecora che va in televisione, pubblicizza la sua rivista Poeti e Poesia - alla quale sono stato invitato anch’io a partecipare (ovviamente pagando una quota) - e non aiuta nessuno a uscire dall’ombra, anzi la conferma. Qui sarebbe necessaria una riscossa totale da parte nostra. Perché non formiamo un setta piratesca e andiamo all’arrembaggio del “potere kulturale”, smascherandolo, attaccandolo in ogni modo, denunciandolo anche all’estero? Solo noi che siamo italiani possiamo, e dobbiamo, prenderlo a schiaffi. Magari possiamo cominciare proprio dando la caccia agli Eco, stanarli dalle università, etc. Io non chiederei loro niente, ma gli opporrei quella che negli anni ’70 si chiamava controcultura. Non mi dilungo oltre e la saluto invitandola a vedere il mio video I demoni del denaro, in cui c'è anche il nostro sulfureo principe della forfora accademica quale membro della paramassoneria Aspen. E la invito a vedere il mio blog (poetainazione), dove riporto questo suo post, la mia risposta e un volante approfondimento critico su alcuni scrittori e autori italiani. Un saluto caro a lei che ha pubblicato questo post triste ma importante. Massimiliano Gusmaroli/Poetainazione MA COME SI DICE: NON STUZZICARE IL CAN CHE DORME, ED ECCO CHE IL CANE DENTRO ME E’ STATO NECESSARIAMENTE STUZZICATO! UN CANE CHE PER LA VERITA’ NON DORME MAI E DOVE PUO’ RACCOGLIE L’OSSO DELL’OCCASIONE, SE QUESTA SERVE A MORDERE IL POTERE DEI SOLITI NOTI. HO CONTINUATO QUINDI IL MIO CAGNESCO VAGABONDAGGIO SU INTERNET, ZAMPE AFFONDATE NEL PANTANO DEI DOTTI PROFESSORI, DEI DOCENTI UNIVERSITARI-POETI, DEI BRAVI SCRITTORI DA CORTILE (QUELLI CHE DI TANTO IN TANTO ABBAIANO MA NON MORDONO MAI), DEI GIORNALISTI DELL’APPARATO CHE RIEMPIONO LE LIBRERIE, DEGLI STESSI EDITORI-SCRITTORI, DEI POLITICI-NOVELLIERI, DEI CANTANTI-DRAMMATURGHI, DEGLI ATTORI-ROMANZIERI. VOGLIO QUINDI RIFERIRVI CHE COSA HO TROVATO ANDANDO A ZONZO NELLO SPORCO DELLA CULTURA UFFICIALE. ECCO QUI: http://www.corriere.it/cultura/15_febbraio_21/gli-autori-mondadori-rcs-questo-matrimonio-non-s-ha-fare-94f21a8e-b999-11e4-ab78-eaaa5a462975.shtml L’APPELLO Gli autori: Mondadori-Rcs questo matrimonio non s’ha da fare


Il documento promosso da alcuni scrittori del marchio Bompiani e sottoscritto da altri autori di case editrici diverse di Umberto Eco e altri 47 scrittori e autori



Foto: Umberto Eco Pubblichiamo un appello promosso da alcuni scrittori del marchio Bompiani e sottoscritto da altri autori di case editrici diverse. Mercoledì scorso Mondadori ha sottoposto a Rcs MediaGroup una manifestazione di interesse non vincolante per l’acquisizione dell’intera partecipazione detenuta dalla società in Rcs Libri, pari al 99,99% del capitale. Anche il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini giovedì si è chiesto «come funzionerebbero le cose in un Paese con un’unica azienda che controlla la metà del mercato, con l’altra metà frammentata in piccole e piccolissime case editrici». L’appello Noi autori della casa editrice Bompiani (insieme ad alcuni amici che pubblicano presso altri editori, intellettuali e artisti) manifestiamo la nostra preoccupazione per il ventilato acquisto della Rcs Libri (che comprende le case editrici Adelphi, Archinto, Bompiani, Fabbri, Rizzoli, Bur, Lizard, Marsilio, Sonzogno) da parte della Mondadori. Pur rispettando l’attività editoriale della casa acquirente ci rendiamo conto che questa fusione darebbe vita a un colosso editoriale che non avrebbe pari in tutta Europa perché dominerebbe il mercato del libro in Italia per il 40 per cento. Un colosso del genere avrebbe enorme potere contrattuale nei confronti degli autori, dominerebbe le librerie, ucciderebbe a poco a poco le piccole case editrici e (risultato marginale ma non del tutto trascurabile) renderebbe ridicolmente prevedibili quelle competizioni che si chiamano premi letterari. Non è un caso che condividano la nostra preoccupazione autori di altre case: questo paventato evento rappresenterebbe una minaccia anche per loro e, a lungo andare, per la libertà di espressione. Non ci resta che confidare nell’Antitrust. Gli autori Roberto Andò, Nanni Balestrini, Sergio Bambarén, Franco Battiato, Tahar Ben Jelloun, Ginevra Bompiani, Pietrangelo Buttafuoco, Rossana Campo, Furio Colombo, Mauro Covacich, Michael Cunningham, Andrea De Carlo, Roberta De Falco, Paolo Di Stefano, Luca Doninelli, Maurizio Ferraris, Mario Fortunato, Fausta Garavini, Enrico Ghezzi, Paolo Giordano, Giulio Giorello, Hanif Kureishi, Raffaele La Capria, Silvana La Spina, Lia Levi, Dacia Maraini, Mario Martone, Michela Marzano, Laura Morante, Carmen Moravia, Edoardo Nesi, Aldo Nove, Nuccio Ordine, Roberto Peregalli, Sergio Claudio Perroni, Aurelio Picca, Thomas Piketty, Lidia Ravera, Antonio Scurati, Amina Sboui, Toni Servillo, Simona Sparaco, Susanna Tamaro, Chiara Valerio, Giorgio Van Straten, Sandro Veronesi, Drenka Willen. 21 febbraio 2015 | 09:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA COME VEDETE QUESTO APPELLO HA SOLO UN ANNO. FIRMATO DA BEN 47 SCRITTORI E “AUTORI”, COME DICE UMBERTO ECO DAL CORRIERE DELLA SERA (UNO DEI GIORNALI PIU’ MONOPOLISTICI E DI REGIME CHE ESISTONO -VEDI MAPPA ALLA FINE DEL POST *). LA PAROLA AUTORI E’ INTERESSANTE PERCHE’ DICE TUTTO E NIENTE, E COSI’ OFFRE IL FIANCO AL PENSIERO UNICO RCS-MONDADORI E AI SUOI MOLTI AUTORI E POCHISSIMI SCRITTORI. MA VEDIAMO CHI SONO I FIRMATARI DELL’APPELLO. L’appello è firmato per almeno un quinto da attori, registi,cantanti e sceneggiatori-non scrittori: Roberto Andò (regista, sceneggiatore), Franco Battiato (cantante famoso), Roberta De Falco (sceneggiatrice per cinema e televisione), Mario Martone (regista, sceneggiatore), Laura Morante (attrice famosa), Toni Servillo (attore famoso). Hanif Kureishi è un caso particolare perché lavora come sceneggiatore ma è anche scrittore. Per un altro quinto abbiamo quegli “autori” cresciuti e dovuti all’ombra della casta politica: Pietrangelo Buttafuoco (politico del MSI, poi di AN, uomo televisivo, etc.), Michela Marzano (politico del PD), Edoardo Nesi (assessore giunta PD, Lista Con Monti per l’Italia), Roberto Peregalli (architetto di Berlusconi). Vi è poi un altro quinto costituito dagli stessi editori e dai loro giornalisti: Ginevra Bompiani (figlia dell’editore), Paolo Di Stefano (Corriere del Ticino, La Repubblica) , Luca Doninelli (L’Avvenire, etc.), Mario Fortunato (Rai3, Panorama, etc.), Enrico Ghezzi (Rai3), Paolo Giordano (Il giornale), Sergio Claudio Perroni (agente editoriale), FurioColombo (giornalista, editore, anche politico). Poi abbiamo una discreta fetta di docenti universitari anche collaboratori di giornali: Maurizio Ferraris (docente universitario), Fausta Garavini (redattrice rivista Paragone, Nuovi Argomenti, docente universitaria), Giulio Giorello (docente universitario, giornalista del Corriere della sera), Michela Marzano (docente universitaria, politico del PD), Nuccio Ordine (docente universitario, collaboratore del Corriere della sera), Thomas Piketty (docente di economia, collaboratore a Le monde, Libération, etc.), Antonio Scurati (docente universitario, scrittore, collaboratore con il quotidiano La stampa ). E non potevano mancare le figlie e le mogli d’arte: Rossana Campo (anche se non sa scrivere è comunque la moglie di Nanni Balestrini), Carmen Moravia (moglie di Alberto Moravia), Lia Levi (figlia di Primo Levi). Poi ci sono i “veri scrittori”, o meglio quelli che mi sembrano i più autentici tra questi firmatari.  Per me autentico significa prima di tutto che lo scrittore è un fiume pulito e indomito, una vera penna (o tastiera) non compromessa e spontanea. Il vero scrittore non scrive per secondi fini (commerciali, faziosi, materiali, etc.) e non scrive in virtù di amicizie, compromessi, ambienti frequentati (cinema, televisione, politica, etc.) o per propria fama (perché è famoso) od eredità, fosse anche per eredità del suo stesso passato di scrittore o altro.  Il vero, anche se è il più vecchio che esiste, scrive sempre perché è vero e non perché lo è stato, o per un qualche diritto di nascita. Nanni Balestrini (per quanti danni abbia fatto alla letteratura italiana e quanto sia museale, è comunque un poeta), Sergio Bambarén (è una specie di delfino che non si è piegato alla sporcizia del mare!), Tahar Ben Jelloun (uno scrittore vero e amabile, sebbene sia amato anche dagli editori e dai giornali, e ciò non depone a suo favore), Dacia Maraini (per quanto sia oggi piegata in sé, è scrittrice da tempi non sospetti), Mauro Covacich (anche collaboratore di giornali, è invece scrittore dei tempi sospetti), Michael Cunningham (scrittore su cui non posso esprimermi e pertanto lo metto in questo magro "paradiso"), Andrea De Carlo (uno scrittore scoperto da Fellini, non so altro), Raffaele La Capria (scrittore prolifico ma tentacolare, anche collaboratore con il Corriere della sera e altri giornali), Silvana La Spina (scrittrice ancora da comprendere), Aldo Nove (poeta che fu dei “novissimi”, una vera collaudata ma che non esplode), Aurelio Picca (poeta, attore, scrittore: il suo poema beat “Io sono l’Italia” ha qualche cosa di vero ma solo a comprarlo, per leggerlo è introvabile su internet!), Lidia Ravera (anche lei scrittrice di un'altra epoca, oggi assessore alla cultura della Regione Lazio). Alcuni di questi nomi sono sicuramente veri, ma non si distinguono dai non veri, perché?  Perché in qualche modo partecipano a questa Italia mediatica falsa e sporca, e così non scrivono nella verità della letteratura, e cioè di se stessi, ma nella falsità della mistificazione e nella brutalità del monopolio. Chiara Valerio, ad esempio, è nata scrittrice o redattrice di Nuovi Argomenti? Sandro Veronesi inizia collaborando con la RAI, fratello dell'altro Veronesi, e anche lui sembra uno scrittore, ma questa sua vena è autentica o aiutata dagli ambienti che frequenta? Il caso di Drenka Willen sembra in parte rispondere a questa domanda. Siamo di fronte a un grande editor americano, editrice del Washington Post e di altri giornali legati occultamente a delle superpotenze economiche, perciò non mi meraviglierebbe se vincesse venti volte il premio nobel per la letteratura. Il caso di Amina Sboui, invece, credo sia un puro prodotto mediatico-politico rimbalzato dalla televisione e da facebook alla letteratura, e scommetterei sul fatto che il suo libro "best-seller" non è stato scritto da lei.  Ma qui siamo al prodotto commerciale crudo, perciò non importa chi lo scrive. Vi sono poi quelli che sanno “recitare bene scrivendo”, potrei dire. Simona Sparaco è oggi la versione aggiornata, degenerata e romana della triestina Susanna Tamaro di Va dove ti porta il cuore, ma quest'ultima, al di là dei media che l’hanno affermata e resa mediatica, è anche una scrittrice con cognizione e senso letterario, io credo. Simona Sparaco invece è solo "brava e bella", sempre che i suoi libri siano suoi, cioè scritti da lei. Ma se così non fosse allora avrebbe speso inutilmente 10.000 ero l'anno studiando "storytelling and performing arts" alla scuola Holden di Torino. Una scuola che insegna a scrivere libri privi di letteratura ma VENDIBILI. Termine che va inteso nell’accezzione della RCS-Mondadori: ovvero: libro = oggetto commerciale.  Come vedete io le considero già fuse. Fuse di fatto, nel pensiero unico mediatico-editoriale che i due grandi colossi monopolisti propugnano. Ed in questo senso l’appello qui sopra appare ridicolo. MAPPA DEI GIORNALI ITALIANI📷 Per vedere ingrandita la mappa cliccarci sopra. Ringrazio questo link :http://www.rivistapaginauno.it/Legami-stampa-industria-finanza.php

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Aggiornamento: 25 mar 2020


Il violino è un uccello, forse,

il suo canto è d’argento!

E così il pianoforte insegue il violino


Ma il pianoforte cammina su certi tasti e vola

portando alla notte quel suo viola

serio di mille ombre e figure


e alla luna, forse, è ancora più chiaro

per quel suo timbro, per quel suo spessore

di vecchio solido gufo e di Beethoven


E così il violino si perde ad ascoltare,

col suo nido, coi suoi spini,

o “uccelli”, possiamo dire


Ma quel che conta è che l’uomo è Uomo

e perfino la luna, adesso, lo ammira,

lei che è in alto, più alta del sole.

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Aggiornamento: 25 mar 2020

Il mio essere fiero e indisciplinato mi ha reso lo scrittore che sono, con decine e decine di opere accatastate negli angoli più bui della casa.


Fiero perché non ho voluto mai pagare per pubblicare, e indisciplinato per lo stesso motivo.


Ma ciò arreca danno non a me, che non voglio diventare un altro libro su uno scaffale, bensì agli editori, che finora non hanno ricevuto da me neanche un soldo bucato.



***


Il mio maestro cinese di tai chi, sette anni fa, quando ho inizato l'arte del tai chi, mi ha insegnato che praticando con il mio specifico corpo (quale esso è) e con la mia specifica mente (quale essa è), ovvero valutando nell'oggi (l'oggi di cinque anni fa) e proiettando nel tempo gli elementi che mi compongono  e che determinano il mio grado di agilità, elasticità, forza, grazia, ecc. così come il mio grado di comprensione, determinazione, costanza, praticità, ecc. sarei diventato maestro in dieci anni. Dieci anni. Oggi, nel 2020, se i calcoli furono giusti, posso affermare che fra tre anni sarò maestro. Lo posso affermare senza dubbio in quanto da allora fino a oggi ho proseguito nell'arte senza perdermi, senza interrompermi, né modificando o avendo subito modifiche sul piano di quegli elementi corporei e mentali in base ai quali sono state fatte le dette proiezioni sulla mia persona. Posso dire infatti che mi sono conservato uguale o molto simile, a parte qualche anno in più e una muscolatura più sviluppata che mi rende più ampio nel petto e nelle spalle. A questa lieve modifica tuttavia compenso con una maggiore robustezza di gambe. Anche l'ernia alla prima vertebra bassa (L5S1), che per alcuni periodi mi aveva impedito di allenarmi, negli ultimi anni non si è più manifestata, e questo anche prova che il mio corpo si è assestato nell'arte quanto la mia mente si è organizzata nel controllo del problema. In questi anni ho continuato con costanza l'allenamento, e l'ho anche ampliato imparando e praticando, ormai da circa tre anni, un'altra forma (modello, sequenza) di tai chi e due nuove forme in altre discipline affini. Le quali forme sono sempre in via di perfezionamento, ma del resto così è sempre, anche con ciò che conosceremo magistralmente. Oggi posso dire che chi vuole imparare da me non potrà imparare le stesse cose al mio livello se non facendo un percorso simile. E questo percorso non si può abbreviare, a meno che il novizio non abbia innati elementi corporei e mentali superiori ai miei. In ogni caso nessuno può derogare dalla pratica, e tale regola non ha eccezioni. La pratica e l'arte sono identiche, e il genio e il talento e l'intelligenza e l'agilità migliore e ogni altra dote possono solo fare in modo di rendere la pratica una quetione di eccellenza, ma non di evitarla. Chiunque si cimenti nella pratica non potrà comprendere l'arte senza la dura pratica dei mesi e degli anni. Chiunque abbrevi il prercorso fisico, sviluppando prima di altri la muscolatura, il respiro e la dotazione fisica adatta e migliore - anche prima di me quale insegnante che non sono - tuttavia non potrà di molto abbreviare il pecorso mentale, che necessita di un tirocinio diverso, di un allenamento contestuale ma anche fatto di profonde riflessioni, approfondimenti su testi anche inediti, letture varie e studi pratici e teorici di ogni sorta. Ad esempio, è grazie alla mia riflessione empirica sui testi della magia daoista, che parlano di "cinabri", "cieli interni", "rivoluzione celeste"... che ho capito come "far depositare" il Qi quanto basta per innalzarlo al cinabro intermedio, sebbene la questione dei cinabri sia ancora criptica e oscura ma forse un domani, quando sarò maestro, la comprenderò totalmente e saprò muovere il respiro-Qi ancora meglio. Forse, più del percorso corporeo, è comprendere il "discorso" della linfa vitale il nostro scopo. "Linfa vitale" non è una frase idiomatica del tai chi, che i cinesi chiamano Qi e basta. In ogni caso, la traduzione dal cinese usa frasi quali  "soffio vitale", "energia vitale", "respiro in azione (Qi gong)", e non il termine "linfa". Il respiro:         "dilata il corpo e lo brucia e lo trasforma         - “puoi respirare come un neonato?" Io uso il termine linfa per vari motivi, in primis perché il tai chi si pratica meglio tra le piante. Io credo sia quasi impraticabile in una palestra o in un ambiente di cemento, tanto per esemplificare. Il  respiro che fluisce nel tai chi, il cui scopo è proprio il flusso di respiro, è a mio avviso paragonabile alla linfa e al flusso di questa dalla terra alla cima, che è lo scopo dell'arte di essere pianta, se vogliamo dirla così. Ed è un'arte alquanto magica, tanto che ancora oggi l'uomo non è riuscito a spiegare come faccia una sequoia a portare la linfa dalle radici alla foglia più alta. Capillarità, osmosi e traspirazione non sono spiegazioni sufficienti. La linfa è una sintesi di acqua e zucchero, quest'ultimo viene aggiunto dalla pianta all'acqua raccolta dal terreno. L'acqua scorre nel mondo, la linfa scorre nell'alburno della pianta e la vita scorre in noi in varie forme, acqua, sangue, respiro, energia, ecc. Il Fluire è quindi lo scopo, è lo scopo dell'arte di vivere, potremmo dire. Al fluire esterno noi aggiungiamo il nostro fluire e via dicendo. C'è insomma una vita del mondo che noi facciamo nostra, a cui noi aggiungiamo noi stessi, ma questa stessa vita generale è il nostro ambiente. Per questo mi sembra impraticabile astrarre dal fluire del mondo, e cioè dalla natura, che è fluente per eccellenza, un'arte come il tai chi. Tuttavia lo si vede spesso praticare nelle palestre, in quella sorta di pace ovattata e su certi pavimenti lisci o tatami che bene si prestano all'intimità del raccoglimento, ma che non restituiscono il fluire con il fluire. In questo senso il concetto di soffio vitale non esiste solo nel tai chi ma può darsi anche in altre discipline dell'uomo in cui il controllo del respiro si rende necessario. Tuttavia, io credo che il Qi sia un concetto piuttosto specifico dell'arte del tai chi, anche postulato scientificamente, oltre che magicamente. Il tai chi è scienza e magia al contempo. Del resto, come ci insegna lo storico delle religioni rumeno Mircea Eliade, la chimica è una scienza che nasce dalla magia trasformatrice di metalli. Ripeto dunque questo mio verso: (il respiro...) dilata il corpo e lo brucia e lo trasforma Tornando all'approccio fisico e all'approccio mentale, coi loro percorsi simultanei, legati e separati, possiamo dire che a parità di muscoli, respiro e flessibilità nei praticanti, tuttavia non si avrà mai una parità mentale tra di loro, a meno che per un caso fortuito le personalità non siano identiche o con identiche percezioni. Ma esistono persone identiche? O persone in grado di percepire una cosa nello stesso identico modo? E' alquanto improbabile poiché se la materia del tai chi è eterea, ideale, filosofica, etica, estetica, magica, scientifica e spirituale, il dispositivo cognitivo dei praticanti sarà tanto più ampio e quindi suscettibile a approcci e percorsi diversi. Abbiamo assodato, dunque, che i praticanti sono tutti diversi, come i lettori di un libro. Questo è un punto che un maestro deve considerare sempre quando si relaziona con gli allievi. Gli allievi possono quindi essere più o meno esperti o maestri loro stessi. In quest'ultimo caso i maestri comprenderanno meglio i maestri, anche se di discipline diverse, dato che vi è un elemento comune a tutte le arti, tra le marziali come tra le "belle arti". C'è un elemento comune tra la pittura e la danza, tra il cinema e la musica... e se affermassi che vi è un elemento molto comune e addirittura identico tra la scultura e il tai chi non sbaglierei, anche se chiunque penserebbe che sono matto. Tra il tai chi e la scultura vi sono almeno due elementi identici : la volontà di scolpire e la pratica fisica dello scolpire. Potremmo anche vederne un altro, molto michelangiolesco e neoplatonico: la lotta tra spirito e materia. Una lotta con la materia che nel tai chi è forse superiore a quella di chi da un blocco di marmo ricava delle figure. E c'è l'elemento del grezzo che diventa liscio, e del corpo dello scultore che s'infrange sulla pietra. Il lavoro di scultura è del resto comune a tutte le arti. Un ballerino non è forse una scultura? Ma è una scultura sia per la pratica corporea che lo rende tutto muscoli e tendini, e duro come il marmo!, sia per il fatto che questa scultura corporea a un certo punto perde quasi di vista se stessa, quando la ballerina diventa maestra, e l'arte s'impossessa dell'uomo e lo nutre come la linfa l'albero. Vi è una scultura interiore, invisibile, data dalla volontà di scolpire il carattere, allenare l'anima, la cultura ecc. Scindere la linfa dall'albero è impossibile come scindere la vita dall'arte, a quel punto. Ma anche nell'essere albero, se vogliamo, c'è un punto in cui l'albero è albero, o l'albero è ancora novizio, non ancora albero. Quando l'albero che è un maestro della sua essenza non possiamo spezzarlo con le mani, a meno che non siamo maestri nella terribile arte della distruzione manuale degli alberi. In genere ci vuole la sega, mentre per i "non alberi novizi" o "aspiranti alberi" possono bastare delle mani ben allenate. Faccio questo esempio perché io stesso ho spaccato a manate dei piccoli alberi tagliati dai potatori e lasciati sulla strada, ormai morti. Gli alberelli aventi anche sei  centimetri di diametro si possono spezzare a colpi di mano aperta senza troppo sforzo e senza allenamento, ma con l'allenamento tutto cambia.  Tra l'uomo e l'albero vi sono non poche differenze, ma meno di quanto crediamo. L'albero, anche quando non deve puntare al cielo per avere luce, cresce dritto e non in diagonale per una precisa volontà: evitare che il vento lo abbatta, o che lo abbattano gli animali, o una frana del terreno.  Ora, come si vede, sia la posizione eretta nella lotta, o arte di vivere, sia la traspirazione come spiegazione del flusso linfatico, o respiro vitale, sono elementi comuni tra noi e gli alberi. D'altronde, anche noi traspiriamo. sii respiro nel ventre, sede di calore e pulisci tendini e muscoli con vapore; e suda, così, con silenzioso Agire e urla, per rompere questo tuo Silenzio, batti il tallone sulla terraferma, scuotila! La pratica fisica affinata nel tempo è già metà conoscenza, (e anche questo ci accomuna agli alberi), l'altra metà appartiene invece alla sfera della comprensione umana per antonomasia: il pensiero.  Il pensiero di un novizio molto intelligente può intuire senza strumenti alcuni elementi dell'arte, ma l'intelligenza non è l'arte. L'intelligenza è anzi ingannevole, se non viene controllata dalla pratica. L'intelligenza ci fornisce dei buoni spunti nella pratica e nella teoria, ma la pratica contraddice sempre l'intelligenza. L'arte è una cosa più pratica di quanto si creda oggi, in questo mondo di teorici dell'arte. Per questo un intellgentissimo novizio può tener testa al più "stupido" maestro, ma anche il maestro meno perspicace sarà almeno mille volte superiore al novizio. La pratica è una forma di intelligenza a sua volta, che si alimenta dell'intelligenza cerebrale pura e la contrasta. L'arte non è solo la pratica pura, orba di conoscenze, dati, informazioni, sapere teorico ecc. altrimenti sarebbe uno sterile copiare i maestri o una strada senza sbocco conclusa nell'allenamento fisico e nella ginnastica. E' così che corpo e mente, infine ,si rivelano una sola cosa, e ritornano uniti, amoreggiando e osteggiandosi. Perciò chiedere allo spirito di liberarsi del proprio corpo sarebbe come chiedere al corpo di liberarsi della propria carne. Il pittore che si è liberato del colore ha squarciato la tela, l'ha bucata, l'ha bruciata e questo è stato il suo percorso artistico: "Qi è Respiro non perduto, afferrato, soffio che muove il fuoco (...) e la gru che apre le ali... tutto dentro una minima Arte, immensa Espressione di chi torna così al puro uomo originario, e rilascerai nell'aria il tuo Dolore e il tuo Nome finché, così spossessato, così impoverito, così fuso con la natura, sarai felice e trasformerai finalmente il respiro in Qi  *** Tornando al poeta, al narratore, allo sceneggiatore, al drammaturgo che io sono, artista come io sono per migliaia e migliaia di pagine scritte in trent'anni di pratica ( la mia prima poesia mi è venuta a tredici anni, la mia prima raccolta a diciassette). Poeta per almeno mille poesie superbe, su tremila.  Narratore per almeno due racconti forzuti, su cinque. Sceneggiatore per quei miei due testi eccellenti e un altro in arrivo, e per altri due molto validi ma sospesi. Drammaturgo perché lo sono stato, con sei opere teatrali molto valide, e altre tre da rimaneggiare. E poi ancora: alchimista della musica, non ancora musicista, lontanissimo dall'esser maestro, forse fra vent'anni! Detto questo, posso ora affermare che di certo in una di queste arti sono già maestro. Benché noto solo a me stesso. Ma abbiamo davvero bisogno degli altri - dei critici laureati, che spesso sono anche lettori ingaglioffiti nel professionismo ed editori cinici -  per giudicare la nostra arte in modo imparziale?  E se il critico d'arte fosse parziale? Se non avesse alcuna intenzione di promuovere chi non offre nulla al mercato? "dalla Pratica fatta Arte una sfera di Energia Vitale dalla materia del corpo salirà dal passato al Presente e dal ventre molle al cranio duro, e la scatola quadrata della vecchia mente con dentro la forma del vecchio Destino fatto di millenni, pesi e nomi soffiando svanirà nel vapore, e il corpo sarà trasparente dopo esser stato solido dov'era molle e vaporoso dov'era solido; e qualcuno forse ti vedrà, quel giorno stabilito dal tuo Tempo interiore, dove tutto sarà come increato e postumo e il tuo cuore sarà calmo e le mani saranno spalancate dal respiro e la fronte sarà la fontana e ogni osso vecchio sarà tornato verde, e come vento improvviso tra gli alberi immobili il tuo movimento sarà lentissimo e velocissimo e sarà percepibile fuori dall'indicazione del Maestro, del Libro, e sarà brezza nata dal tuo Vuoto, dalla tua Mancanza di ostacoli, dal tuo Anonimato" (...) Quando sarò maestro nell'arte, darò al mondo cose che in modo splendido posso affermare saranno comprese solo dai maestri. Posso anche fare qui una provocazione e dire che se dovessi fare dei film, questi sarebbero vietati. E non ai minorenni, ma a quei maggiorenni che non sono abbastanza eruditi nell'arte, o non sono adatti né inclini né intelligenti per avvicinarvisi.



"Vietato a chi non è abbastanza erudito o pronto", questo sarà scritto come divieto.


Parole dure per coloro che saranno riprovati, e cioè la maggioranza. E tutti i maestri allora rideranno dei mediocri che ora ridono di loro.  L'inetto smetterà di ridicolizzare l'abile. L'ignorante diventerà man mano erudito, come stava succedendo nel mondo prima che questo fenomeno non venisse controllato dal potere. La conoscenza del mondo passerà attraverso l'arte, che ritornerà in mano ai maestri, che sono i più alti in grado. Anche scienza e tecnologia saranno riviste, nell'ottica di un uomo nuovamente artista. Questo significa che i dittatori di ogni risma, e i potenti, e gli affaristi e tutti coloro che detengono il Potere del Distruttivo Cinismo attuale (che si potrebbe anche leggere P.D.C, e cioè Partito Democratico Cattolico) avranno ruoli riposizionati all'interno del nuovo potere, che sarà affidato a dei puri maestri e quindi non sarà un potere con i connotati tradizionali del segreto, della trama, della brama, della violenza, della conservazione, ecc. Per fare un esmpio, è come se le cure del pianeta fossero affidate a Emily Dickinson. Poetesse e poeti come lei riuniti parleranno, e sarà questo uno dei parlamenti migliori del nuovo mondo. E i Pasolini saranno finalmente ritrovati e ascoltati, e applicati in politica. I Mircea Eliade i nuovi maestri delle Chiese. Vi saranno dei test, chi non li supera non potrà proseguire il lavoro di questi e altri maestri. Qualcuno potrebbe con obiezione definirla "la costituzione di un nuovo regime". Sì, vi sarà un nuovo regime: "il regime dei maestri", ma come ho accennato sopra non sarà inteso alla violenza bensì alla giustizia. In base a quest'ultima, quindi, una volta messi ai ferri i grandi criminali in giacca e cravatta, ecco che il candore fanciullesco e anziano dei maestri rigenererà in poco tempo il mondo. Se sarò ancora vivo e sarò riconosciuto maestro, o anche un "degno seguace con accesso al credito culturale" (e non al "credito economico", dato che non vi saranno più uomini distinti dal denaro - grazie alle nuove politiche) , allora mi divertitò, perché sarò particolarmente dispettoso e cattivo. Stabilirò le mie condizioni. La prima: "solo chi sarà approvato da me o dai miei seguaci-con-accesso- al-credito potrà accedere alle mie opere". All'inizio solo in pochi potranno bearsi dei miei frutti, ma più avanti saranno molti di più per via della crescita culturale (altro termine mutuato dall'economia -  "crescita economica" - di cui non avremo più bisogno, grazie a maestri che furono poverissimi come Sandro Penna e quindi ai suoi discepoli, che saranno tesorieri degli Stati). Ad Alda Merini ed Ezra Pound, ovvero ai loro seguaci ministeriali, sarà affidato il ministero della  sanità.  In realtà non vi saranno neanche più minsteri, ma tavole rotonde all'aperto, e questo anche grazie al maestro Kafka.


Se penso a chi pubblicherà mai le mie opere, beh, quel giorno gli editori faranno la fila. Ma non invieranno più lettere come me ne inviarono: volte a convincermi a pagare, di cui un giorno o l'altro puibblicherò il carteggio: Editori Riuniti, Manni, Campanotto editore, dove la parte economica della lettera è addirittura scritta a penna.  Riproverò gli editori e i produttori che conosco per la loro furbizia e venalità, per la loro complicità col vecchio potere, e abbraccerò quelli che si distingueranno per erudizione e coraggio. Non vi saranno mai editori di regime, perché il regime dei maestri non sarà un regime nel senso comune, ma una dieta del mondo. Dicevamo quindi che solo gli editori e i produttori eruditi potranno divulgare le mie opere, ma se non ce ne dovessero essere di "imprenditori" così fatti (dei non-imprenditori), allora vorrà dire che non avremo bisogno neanche di passare nei vecchi ingranaggi. Pubblicheremo e distribuiremo le opere magistrali secondo nuove regole di edizione e distribuzione. L'arte fittizia e mediocre sarà messa al bando, e coloro che si reputeranno "maestri messi al bando" potranno fare ricorso ma solo portando elementi convincentisulla loro maestria. La "tavola rotonda degli inascoltati" li ascolterà, e tutto il mondo potrà bearsi del procedimento legale, che sarà trasformato in dibattito culturale mondiale. I Tarantino, i Von Trier e i Muccino, tanto per fare alcuni esempi, dovranno provarci che la loro arte va oltre l'Infantilismo, il Malinconismo e l'Americanismo che rispettivamente li contraddistingue, elementi questi che sono oltre che mediocri anche degenerativi e diseducativi per l'Uomo.  Gli avvocati che vorranno difenderli dovranno essere molto più eruditi nelle arti che nel diritto. 


Solo in pochissime librerie, o forse in una sola, io offrirò alla consultazione le mie raccolte di poesia. Appariranno su uno scaffaletto chiuso a chiave e sotto vetro, per vietarne la consultazione a tutti, e solo chi supererà il test da me congegnato potrà fruirne. Questo avverrà negli orari e nei giorni in cui tutti lavorano. Anche i maestri dovranno sacrificarsi per leggere gli altri mestri, senza sconti per nessuno. Per il teatro e il cinema, il pubblico approvato potrà entrare in sala ma solo ad orari non borghesi né popolari, quando i professionisti sono molto attivi e i lavoratori lavorano. Chi crederà sacrificherà la pausa pranzo. Custodiremo la vera arte in un regime severissimo, più ostico e sicuro di quello delle banche. 

***

Tutti potranno diventare maestri o come seguaci degni accedere al credito culturale, che non sarà mai confuso con il successo, dato che i loro nomi resteranno più possibiolmente ignoti. Tra tutte le arti e tutti gli stili, le scuole e le correnti, vi sarà comunque un filone riconosciuto più utile alla dieta del mondo, a cui per questa ragione si darà più spazio finché l'Uomo non sarà risanato. L'arte dei maestri più salubri sarà quella sublimemente realista e sublimemente fantasiosa o simbolista. Il realismo contemporaneo vero ( Virzì, Rovere e soprattutto tant anonimi) sarà finalmente liberato dalla confusione con il naturalismo impostore di questi ultimi anni ( Garrone, Lucchetti ecc. per il cinema, De Cataldo, Ammaniti per la narrativa, ecc.). Allo stesso modo il vero fantastico sarà liberato dall'infantile fantasy e dal filone dei supereroi. Credetemi, l'infantilismo è talmente problematico oggi che bisognerebbe creare, come quello anti-mafia, un dipartimento anti-infantilismo. Beninteso che nessuno sarà eliminato, nememno il tronfio uomo infantile o il tronfio malinconico/depresso, ma a queste persone malate sarà data la possibilità di curarsi. Che forse si risolverà in Tutto l'amore che non hanno mai avuto. L'amore, ovviamente, sarà demistificato e de-istituzionalizzato, liberato dalla professione pretesca e dalle lacrime televisive, per esser ridato al mondo in forma nuova, ponderata e umile, naturale. Sarà anche redistribuito, come il denaro. In questo senso i David di Donatello non andranno tutti al suddetto Matteo Garrone ma anche ai poveri, tra questi penso a registi validissimi quali Alice Rohrwacher, Giorgio Diritti, Vittorio Moroni e altri che essendo anche più "anonimi" come posso ricordarne i nomi?  Ai maestri le cui opere sono umili ( ecco che ritornano quindi gli anonimi, come i nuovi trionfatori), ed efficaci sul piano della diffusione dell'umiltà, sarà affidato il ministero dell'Umiltà. Il nome del ministero potrebbe essere "Umberto Saba". Chi potrà accedere a questo ministero saranno solo coloro che conoscono la poesia della capra, tanto per fare un esempio su come funzionano i test della Nuova Cultura ed Erudizione. Quella capra in cui il poeta Saba si rispecchia, il cui belato coincide con il suo dolore. Mai versi sono stati più umili! E in quanto a malinconia/depressione, seppure Saba ne fosse affetto, questa non si impose mai al mondo. La capra di Saba entrerà nei libri scolastici, e proporrei di mettere una capra sulla copertina. Altro che la cavallina storna di Pascoli! Mai versi sono stati più rozzi. A proposito dei "poeti dell'obbligo", quei tre italiani ottocenteschi che tutti conosciamo, ebbene posso anticiparvi che saranno studiati per ciò che sono. Al fascista, snob e retorico D'annunzio tochherà certo la sorte peggiore. Del resto, nella nostra dieta salutare non dovranno esserci cibi così stantii. Faremo posto al valore e al merito sia umani sia artistici. Di ogni artista sarà dato anche un ritratto biografico, poiché nessuno sarà maestro nascondendo se stesso. A questo mondo che ha bisogno di Trasparenza daremo Trasparenza. Al mondo che ha bisogno di uscire dalla rozzezza toglieremo come il rozzo Pascoli molti altri. Ma come ho detto non sarà un'epurazione poiché il nuovo mondo non sarà nuovo se non sarà salvato dalla violenza. Una specifica e aperta valutazione sulla dimensione artistica dei propri maestri prnderà il posto dell'ignoranza violenta dei molti editori e produttori attuali. Di certo l'allegro,violento Tarantino non sarà contento di uscire dal Paradiso insieme con il depresso Von Trier. Quella malinconia astratta e cerebrale degli artisti, che rende celebroleso chi se ne fa discepolo, avrà dura battaglia, come tutto ciò che è accidioso e vizioso, e perverso nel suo molle crogiolarsi. L'arte ritornerà ad affermare la vita e la realtà ( pure nella tristezza e nel dolore), contro questa onda immane di cadaverica mollezza e di irrealtà inveterata in un quasi dogmatico irrealismo. A cui del resto anche gli stessi artisti dei Cahiers du cinema l'hanno ridotta. Dibattiti veri, stroncature sonore faranno vibrare l'aria. L'umile e reale luce umana, che è fonte e garanzia di salute collettiva, illuminerà tutte le sedi preposte all'arte e uscirà incontenibile fuori da quelle finestre. Anche le peggiori televisioni ne saranno ripulite. I sontuosi vermi si contorceranno nelle loro cravatte. Le donne-vermi nelle loro gonnelle. Saba, Penna, Gatto, Vigolo, Caproni e tanti altri maestri non hanno mai ricevuto riconoscimenti facili, né si può dire siano mai stati davvero riconosciuti se oggi questi nomi, già a pochi decenni dalla loro morte,  suonano ignoti a molti, e sicuramente ai nostri ragazzi. La cultura consumistica li ha spazzati via in pochissimo tempo. La televisione li ha sostituiti con falsi intellettuali urlanti e altri mostri, compresi i bravi cantanti ragazzi che volano da X-factor e altri format simili. Ah, quanti ne produrranno di questi FORMAT se non giungerà presto quel giorno, quel giorno in cui non vi saranno più "formattazioni culturali"; e spariranno anche le guide rosse dei festival con gli attori blasonati, con i conduttori abbronzati, ecc. Ogni uomo prostrato nel denaro e nel potere sparirà, o tornerà umile, e per questo buon per lui potrà essere riamato da qualcuno. Ogni grande maestro ha compiuto questo percorso di riappropriazione di sé nell'umiltà, e per questo anche il mondo lo compirà. Insieme con il Saba della capra potrei citare il Pasolini di Trasumanar, che quasi smette di esser poeta per diventare un compilatore di verbali, di bollettini, un facitore di annunci e frasi apodittiche "strampalate". Come Ginsberg che comincia a cantare poesie-mantra buddiste, o quel "pazzo" di Pound. E in questo solco di umiltà e realismo ecco che ripartirei proprio dalle poesie-liste-mantra di Ginsberg, registrazioni in automobile, squasmosi grumi di appunti. Perfino il nobel alla poesia Eugenio Montale divenne maestro quando smise di essere quel premio all'ermetismo che era e si convertì, da linguista puro e prezioso, a poeta quasi prosaico, dialogico.  Fu in quel momento che la sua vecchiaia diventò fanciullesca, da maestro anziano rinato. Se volete sapere quale opinione ho dei veri maestri, è questa. E' cioè tutta nell'idea che chi è davvero grande può uscire dalla lingua e abbracciare il suono, quindi la strada, la terra, la realtà, la natura. Vi sono molti esempi che potrei fare dove gli artisti - poeti, narratori, pittori, scultori, ecc. - lasciano l'arte come sistema, come prigione, per qualcosa di diverso, che tuttavia è arte, ed è il vero approdo.  Diventati fluidi pur conservandosi coscienti, non automatici, non flussi inconsci, la presenza di questi artisti sulla Regola linguistica, sulla Disciplina, sulla Tecnica - ormai benissimo apprese - si sfalda, fonde, muta... e allora raggiungiamo quel qualcosa, e non sappiamo bene cos'è, tanto che crediamo non sia poesia, non musica e neanche grammatica corretta... e allora un po' ce ne pentiamo, perché ci sembra di errare, di fare errori, e ce ne vergognamo pure, e quale editore potrebbe mai comprenderci, mentre invece, se potessimo vederci, così abili, e se potessimo leggere quello che scriviamo.... Il mio maestro di tai chi diceva che bisogna osservarsi nello specchio, mentre si pratica. E' anche utile videoriprendersi e osservare il filmato. "spostati, sposta il respiro dalla bocca all'addome, dietro l'ombelico, e da questo alle punte delle dita, a poi al petto, e da questo al piede e fin sulla testa, condotto da Volontà, guidato da Abbandono;" Nel tai chi quando la mente non è "vuota" come dovrebbe, ma piena delle nostre paure o del nostro zelo messi nell'arte stessa, o quando pensiamo ad altro, tutto è perso; la pratica cessa di essere allenante e l'arte va a farsi friggere. O perché non stiamo più nell'arte o perché ci stiamo troppo, compiamo lo stesso errore. Il vero buon nulla è un vuoto ricercato, è conseguenza dell'arte stessa e non un ordine che possiamo imporci. Un vuoto, cosiddetto, che in realtà è un pieno di artistco vuoto. In altri termini: se pensiamo al bicchiere da cui stiamo bevendo non gustiamo l'acqua, ma se pensiamo a tutt'altro rischiamo addirittura di strozzarci.

L'attenzione serrata nei confronti della composizione letteraria, dell'espressione, ecc. ricorrono normalmente nelle opere minori degli artisti, mentre è l'elemento semioscuro, tra ponderato e imponderato, che normalmente comporta la cifra magistrale. Una forma di oscurità compresa, non completamente illuminata dall'artista  ma la cui luminosità arriva ad illuminare la sua opera. Quel qualcosa che nemmeno l'artista sa bene, né da dove sia venuto, né cosa voglia dire in ogni sua parte, ma che è venuto certamente perché in quell'opera corpo e mente sono fusi, pratica e teoria sono unite. Si portrebbe quasi dire che il poeta riesce a dare alla luce, con lucidità, qualcosa di oscuro. La mamma ha coltivato bene il nascituro dentro di sé, lo ha ascoltato, lo ha visto nei suoi sogni... lo partorirà come un sogno oscuro quindi, ma anche come un essere carnale che la luce e l'aria faranno piangere. Nel tai chi, pensare al movimento successivo è dilettantesco, ma il non pensare alle "mosse" che abbiamo imparato è presunzione arida ed errata. Se non pensiamo alle mosse non siamo lucidi nell'arte, se però crediamo di sapere (in quanto l'abbiamo già pensato le mosse negli anni precedenti, quando eravamo dilettanti) perdiamo il piacere e la visione; da qui l'aridità e l'errore che dicevo.  In queste condizioni la via del sapere è già chiusa, e rischiamo di restare o dilettanti, o aridi, in eterno. La nostra costante ansia di conoscere, fusa alla nostra abilità di conoscitori, sono come Jin e Jang in equilibrio. La nostra difficoltà espressiva, fusa alla nostra abilità espressiva sono generalmente la rivelazione stessa del mistero artistico mentre si compie. Il maestro che insegue, che cerca, che corre dietro alla sua preda figurativa senza mai afferrarla con precisione e abilità estreme e matematiche fa sì che la cosa resti avvolta nel mistero pur essendo rivelata. Se è davvero un maestro sa afferrare una zanzara con due bacchette cinesi? E magari senza ucciderla? No. E' ridicolo. E' ridicolo come gli ultimi film di arti marziali in cui i maestri volano sui tetti. Sul piano marziale sono errati, dato che come ho detto fin qui è nell'umiltà e nella realtà del corpo dell'artista che avviene l'arte, non nel perdere l'umile e reale forma umana per acquisire quella di un supereroe o di un volatile. Altra cosa, invece, è riuscire, fuori dagli effetti speciali del cinema, a compiere il volo restando umani.  Nel suo libro il maestro Cheng Man Ch'ing racconta di un anziano maestro di tai chi che volava tra gli alberi, ed egli lo ha visto coi suoi occhi.



Sotto questa luce, il perché Whitman abbia intitolato la sua più grande raccolta poetica "Fili d'erba" mi è chiarissimo. "Il soprannaturale non è che il naturale rivelato" dice Emily Dickinson, e guarda caso questa immensa rivelazione si riduce sempre a una piccola cosa umile. Più conquistiamo con pratica e fatica il sublime, il superiore, l'alto, il sacro, il difficile, l'impossibile, chiamiamolo come vogliamo, e più ci rendiamo conto che questo consiste nel poco, nel piccolo, nell'infinitesimo. E si dà maggiormente nella volontà di non dirlo, di non rivelarlo, di coltivarlo nell'intimo, nel quotidiano.  Il filo d'erba è come il verso rastremato. Il volo tra gli alberi è così naturale, se ci pensiamo. E quando l'uomo riesce a volare, perché dovrebbe correre in televisione a farlo vedere a tutti?


Ma se il piccolo diventa grande, se il quotidiano diventa l'assoluto, se l'erba diventa sacra, allora significa che il maestro che ha appreso tutto questo è  proprio come un bambino davanti ai mostri, quando si confronta con gli atti dei mediocri e dei violenti. Sarà per questo che gli atti dei violenti mi sconvolgono molto più di ieri? Significa forse che i maestri sono persone che  per sensibilità diventano sempre più fragili? Forse sì, ma ancora non posso dirlo, ne riparleremo fra tre anni.      Oggi posso solo dire che i grandi artisti creano dei fatti inossidabili, che somigliano a dei sassi. Quello che in realtà partoriamo, se siamo grandi artisti, sono dei sassi. Umili ma inscalfibili prodotti. Sì perché la vera arte è coriacea e incomprimibile, e come sasso anonimo viene lanciata nel mondo; e un domani, quando non dovremo più offrire nulla di masticabile alla bestia del mercato, la vera arte sarà un sasso rivelato, quel diamante nella scarpa di molti che non sarà più scomodo a nessuno. 


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