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Alle nostre care facce di merda e alla società sfintere

Roma sud: Vedo il giovane del Bangladesh mano nella mano con l’amico, per le vie di Torpignattara. Una visione di soggetti puri. E lo vedo sorridere mentre inietta benzina, ed è sempre lui, se stesso, puro. La Tangenziale Est è invece una visione totalmente impura. Etc. etc. E lo vedo anche mentre passo davanti a un phone center adattato ad alimentari, tra amici cupi, tra sacchi di riso, sempre meno vero, confabula un destino borghese, mentre fuma sigarette italiane. Roma nord: E vedo dog sitter neri, per lo più dello SryLanka, che accompagnano cani bianchi – nella civiltà italiana del momento ovvero nella civiltà dei cani ( dico senza ironia), il primo diritto spetta al cane, poi alla persona. Tant’è vero che qui il cane ha il diritto di spedire in carcere chi lo maltratta, ha il diritto di mangiare ogni giorno, ha il diritto di abbaiare senza censura (guai a rimproverarlo!), ha il diritto di passeggiare o anche di essere completamente libero, ha il diritto di pisciare su tutto (guai a rimproverarlo!), ha il diritto di fare la toeletta, etc., mentre la persona che lo bada non ha il diritto di vivere senza il permesso di soggiorno (circa 25.000 immigrati morti nel mar Mediterraneo dal 1982 ad oggi), non ha il diritto di mangiare senza lavorare (chi gli darebbe un piatto di minestra?), non ha il diritto di parlare (se parla viene maltrattato, se tace viene maltrattato), non ha il diritto di passeggiare, di essere libero (avete mai visto un immigrato passeggiare per il centro della città o non avere impegni?), non ha il diritto di essere pulito e sano ( “l’immigrato puzza” , “l’immigrato porta microbi”). Insomma, l’italiano medio considera l‘immigrato a un rango più basso del cane. L’immigrato non ha il diritto di non essere utile. Quando non serve un padrone serve benzina o serve ai semafori o serve ai tavoli e spesso fa tutte queste cose insieme. Ma io l’ho visto puramente (forse con la stessa quota di purezza con cui lui mi si è manifestato) e così gli ho riconosciuto il centro di questo nostro piccolo mondo italiano di cui egli è il vero centro, come chi porta il peso di un pesantissimo piccolo mondo mediocre sulla sua prima vertebra, là dove l’italiano medio non vuole vederlo, credendo quel posto suo di diritto. Alle nostre care facce di merda e alla società sfintere – videopoesia https://youtu.be/S9Z4k4XfehU


To our dear faces of shit and to the sphincter society (english version) https://youtu.be/2Gcs_Yc9ekk


alcuni versi dedicati ai ragazzi bangladesi di Roma:

Il pischelletto ছেলে

Il pischelletto del Bangladesh al semaforo:

সিগনাল এ বাংলাদেশের একটা ছেলে

la dignità dell’Uomo ancora nel mondo.

মানুষের মর্যাদা এখনো পৃথিবী

Io so-no Ro-ma tr-e me-si*

আমি রোম এ আছি তিন মাস দরে

e gli verdeggia il marrone del viso

এবং বাঁক সবুজ বাদামী মুখ

e il sorriso , nella miseria, è più bianco;

এবং হাসি , দরিদ্র , আর অনেক সাদা

i capelli d’un nero lucente, gli occhi vivi

চুল চকচকে কালো , উজ্জ্বল চোখ

e dietro le spalle ossute lo Stato.

এবং তার চিকন শরীরের পিছনে একটা রাষ্ট্র

A piazza S. Giovanni in Laterano

বর্গক্ষেত্র S. Giovanni in Laterano

lo Stato Democratico e quello Cattolico

গণতান্ত্রিক রাষ্ট্র ও ক্যাথলিক

si tengono per mano.

দুই দলের এক মাথা

A piazza S. Giovanni in Laterano

বর্গক্ষেত্র S. Giovanni in Laterano

tutti sanno che c’e’ la Bibbia e i Vangeli,

সবাই জানে বাইবেল ও গসপেল

i diritti dell’Uomo e del Cittadino,

মানবাধিকার এবং নাগরিকতা

la Costituzione della Repubblica

প্রজাতন্ত্রের সংবিধান

e tutti i Codici e le leggi vigenti.

এবং সব কোড আর আইন আছে

Ma i suoi amici più anziani di lui

কিন্তু তার বন্দুরা যারা অনেক পুরোনো

mi schivano, aspri e paurosi.

তার তেকে দুরে সরে যাই , তিক্ত এবং ভীতিজনক

Forse conoscono il Vangelo del Reale

মনে হই ওরা জানে ধর্মবাণীর বাস্তবতা

per cui immigrare è sia un reato

যার জন্য মনে করে অভিবাসন একটা অপরাধ

che un peccato mortale, mentre lui,

এবং একটি মরা পাপ, তিনি যখন,

dal suo Vangelo interiore, ci sorride

তার থেকে ধর্মবাণী অভ্যন্তর , হাসি

come fossimo turisti, noi Padroni.

আমরা পর্যটকদের হলে , আমাদের কর্তা ……………………. ……………………. * io sono a Roma da tre mesi traduzione dell’amico Deepu bangladese di Sicilia. Se volete leggere il seguito di questa poesia o usarla scrivetemi poetainazione@gmail.com

***

Ed ecco le frutterie notturne della borgata

এবং এখানে ফলের দোকান রাত পৌরসভা

coi meloni accatastati e scalcianti

বাঙ্গি সঙ্গে স্তুপীকৃত এবং সুস্থ ও সক্রিয়

su cui volano i sospiri dei bangladesi

যার উপর sighs উড়ে বাংলাদেশীরা এর

notte dopo notte mentre contano

রাতের পরে রাতের গণনা করার সময়

il denaro tra sacchi di riso e comprano casa

টাকা চালের ব্যাগ মধ্যে এবং একটি বাড়ি কিনতে

e notte dopo notte diventano borghesi.

এবং রাতের পরে রাতের হয়ে বুর্জোয়া

Ma non sono e non saranno mai come noi.

কিন্তু তারা না এবং কখনও হতে হবে আমরা হিসাবে .

Per valori immateriali scolpiscono nell’onore,

জন্য মান সম্পদ খুদা সম্মান

stringono patti , propongono pericoli meravigliosi,

pacts না , বিপদ অঙ্গবিন্যাস বিস্ময়কর

hanno cravatte povere, mogli ricche di colori

বন্ধন আছে দরিদ্র , স্ত্রীদের সমৃদ্ধ রং

e con occhi senza droga vanno nella domenica festosi.

এবং চোখ দিয়ে মাদক মুক্ত সূর্যের মধ্যে হাঁটা উল্লসিত

traduzione di Deepu

***

In questa piazza Vittorio

che trionfa di palme italiche,

۔ non indiane ۔ e deride

l’indiano che dorme nel prato

anni fa

ho sposato il Bangladesh e,

convocato anch’io come l’immigrato,

ho portato rose rosse

ad un mondo falsamente celestino.

Oggi sono più raffinato,

porto un verbo più carico

di allora, porto guerresco il papavero

raccolto sulla via Casilina.


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L’Italia è, nel senso della morte umana, uno dei paesi più a rischio, dato che ciò che l’ha sempre contraddistinta nel mondo è stato proprio il tasso di umanità e di vitalità, contro le più razionali e intellettuali Germania e Francia, tanto per fare degli esempi. Noi non abbiamo avuto i Descartes, i Voltaire, i Rousseau, così come non abbiamo avuto i Kant, i Marx e i Freud, ma le nostre rivoluzioni sono state soprattutto nella forza di saper creare vita. Una vita irradiata da migliaia di sentimenti dalle infinite sfumature, che hanno prodotto speranze, ansie di giustizia, di riscatto, come nel dopoguerra. E dunque hanno prodotto una delle migliori civiltà, in quegli anni di ricostruzione. Una civiltà irrorata da spiriti capaci, cuori gonfi di amore per il popolo, intellettuali dolcissimi. Da Vittorio De Sica a Fellini, da Sciascia a Pasolini, da Elsa Morante a Calvino. Un popolo che pur nel disincanto si lasciava incantare e guidare da questi maestri, sebbene la maggioranza sia sempre stata molto attratta dalla retorica del potere.

Oggi c’è Camilleri, non c’è Sciascia. I De Luca partecipano a Le invasioni barbariche e non sono indignati e amareggiati neanche se il Paese crolla davanti ai loro occhi. La loro calma vita tra le macerie è comunque una vita di scrittori ben ricompensati con onori. I poeti affermati sono tutti puri come dei piccoli Petrarca e compiono anche la prolusione ufficiale al tricolore, se li fanno senatori.

E tutto questo mentre il Paese crolla e la guerra incombe. I missili sono silenziosi ma colpiscono ancora meglio le nostre menti energicamente putride. Il pus invade le televisioni, i giornali, e ormai sta sporcando qui e là anche internet. Le tracce di sangue che duemila anni fa imbevevano le pietre di travertino del Colosseo oggi non sono più visibili, ma la propaganda del potere è dappertutto e ci costringe allo spettacolo della nostra morte, ognuno secondo le proprie abilità. Chi si annienta davanti al televisore, chi nella droga, chi nel fitness, chi nei social network, chi nell’eros, chi nel lavoro, e spesso queste dimensioni coincidono tipicamente, secondo quel canone di unidimensionalità conformista suppurato naturalmente da una civiltà costruita sulla morte, fabbrica di morti. Chi fischietta o canticchia più per le nostre vie? Eppure non ci troviamo nelle metropoli USA, o a Berlino, o in altri paesi simili dove non conoscono la parola “vicolo” e non conoscono la parola “passeggiare”. Se a Berlino dici che vai a fare una “spaziergang”, che sul vocabolario tedesco c’è e io ricordo che nell’anno 2007 me ne sono avvalso spesso ( io che amo passeggiare per le città sensualmente e arrogantemente, alla maniera del flaneur, del bohémien, e cioè secondo un planare che è come un baciare coi piedi, infilando gli occhi ovunque, nei portoni, nei bar, nelle vetrine, e salutando le persone, fischiettando alle strade, prendendo la città come viene, con il destino a farmi da cicerone, etc. ) – ebbene difficilmente troverete un tedesco che comprenderà questa sua parola. Piuttosto ti risponderanno: sí ma dove vuoi andare? Quale obiettivo hai? A Berlino non ci sono vicoli, non c’è oscurità secolare, non c’è incrostazione storica, tutto è sempre troppo cronistico, corrente, moderno, e dunque privo di riferimenti (valori). Mentre l’Italia è piena di vicoli fatti per fischiettare. Ed è piena di croste, come le chiamano gli addetti alla rimozione di certe immondizie. Molto più che in altri paesi in Italia gli elementi della storia, e cioè le domande e le risposte su “chi siamo”, si manifestano all’improvviso, imponendosi alla nostra osservazione e impegnandoci, potenzialmente, di pensiero. Ovviamente è un pensiero che non c’è, che non viene concepito o non viene svolto dagli italiani medi, i quali sono una maggioranza di idioti, cioè sono letteralmente incapaci di pensare o lasciar crescere un pensiero. Il quale, se non altro, è potenzialmente quello di svolgere una considerazione di rsponsabilità sulla nostra storia, dunque su chi siamo. Seguire tale pensiero significa ovviamente iniziare a conoscere, prendere in mano un libro, due, tre, e vuole dire quindi passare ore e ore in lettura, magari andare in biblioteca, prendere appunti, trascrivere, fotocopiare, etc. Molto probabilmente, a un certo punto, chi è medio potrebbe diventare migliore, con una mente in espansione e non in atrofisia, con una coscienza sempre più sensibile, una percezione sempre più capace. Solo su questa base si possono sviluppare un buon tasso di umanità e una buona salute mentale, mentre nella privazione di strumenti conoscitivi e autoconoscitivi l’uomo medio è come un corpo privo di nutrimenti essenziali. Ed ecco che, su questa base, un popolo sempre più vero, umano, capace e mentalmente stabile assumerebbe il posto di questa borghesia media in via di decomposizione di cui un po’ tutti facciamo parte (essendo virale). Penso questo rapportando gli italiani a popoli quali i romeni, i bulgari, i croati e i bosniaci che ho conosciuto da molto vicino. Questi popoli, visti sorprattutto nei loro paesi d’origine, manifestano ancora una base umana eccellente. Il tasso di cultura scolastica e generale è discreto, rispetto a un tasso di depressione, droghe e sucidio quasi inesistenti. La nostra borghesia media è invece una pustola di ignoranza ottenuta con i crediti e con i punti, una crosta di immondizie televisive stratificata nei decenni della tv prima commerciale e poi pubblica, un bubbone di movida suppurante per i ventenni e per i giovani cinquantenni; è alcool fluente per distrarsi dal disimpegno, è sale bingo per i poveri, per gli ultimi operai astiosi e indebitati per stare al passo con il consumismo. E poi ci sono i tanti provincialismi e campanilismi, tutta una secrezione di odio, chiusura mentale, razzismo sempre più infetta e contagiosa. Ma lo è soprattutto in questo Paese, dato che altrove i connazionali non si scannano come facciamo noi. Ma anche questo partecipa di quella mancanza di strumenti-nutrimenti che dicevamo prima e che nel tempo ha trasformato l’ignoranza in una perversione tutta italiana, con tratti tipici (li trattiamo in questo blog). Perversione è l’ignoranza borghese nutrita di cattiveria e idiozia da decenni. Su questa base bruciata, dove non c’è pensiero né cuore, quale Italia d’arte, quali virtù e talenti e geni possono germogliare? Penso alle grandi cose del passato che pure nel più piccolo centro di questo Ex Grande Paese affiorano all’improvviso al nostro passaggio. Le tante colonne annerite sotto i portici ottocenteschi, gli acquedotti di pozzolana rosa che al tramonto s’incendiano e di mattina sembrano trasparenti come acqua. E penso a miliardi di palazzi brulicanti di statue, di decori sottili, paraste, volute, edicole, rosoni… quanti nomi di elementi che sono lì per noi ma noi non ne sappiamo niente o pochissimo. E non c’è bisogno di entrare in una chiesa per sapere quale ricchezza di strumenti-nutrimenti abbiamo tra le mani, quanti pittori e scultori hanno dipinto e scolpito per noi, pensando a noi. Ed io non possono non pensare a loro. In questo momento sto pensando a due beffardi telamoni napoletani, due omoni muscolosi ma anneriti dalle croste che sulla via che spacca Napoli ci prendono in giro sorreggendo per finta due o tre piani di palazzo; e penso a quella fontanella muraria che in un vicolo di Roma sputa un cannellino d’acqua da una faccia allegra. Ma la lista della nostra memoria è lunga e ognuno di noi può aggiungervi elementi. E penso a un frammento marmoreo che pulsa da sotto la calce in muro di Scurcola Marsicana. Dal muro più misero e scabro di un paesello fantasma, quel filo di marmo che traspare nella calce, seppure per una ragione ignota, sta tuttavia nella Storia. Ed è così che la sua realtà ci impone, con la sua sola presenza, un pensiero cosciente, responsabile. Ma che non può essere solo un pensiero fugace, no, io sento che quel frammento di storia ci chiede un gesto permanente. Per il valore stesso delle cose, per la loro realtà, per la loro poesia, ci viene chiesta un’azione di valore, e, in un certo senso, di poesia. E’ questa la grandezza italiana. Un fatto crostoso, che portiamo senza volerlo sulla pelle. I restauratori le chiamano “croste nere” e le rimuovono con bisturi e impacchi, buttando tutto nell’oblio della loro azione priva di storicismo (Cesare Brandi, il maestro del restauro italiano, sul piano storicistico era una nullità e sul piano dell’azione un puro teorico). I restauratori si professano rispettosi di una patina storica che ovviamente non è possibile rispettare agendo con il fine di “restaurare”, che significa riportare un oggetto all’integrità originale. Quella crosta di marmo, sale, sole, pioggia e immondizia non è lì casualmente, e non è precisamente un deposito sulla pelle d’Italia, ma è l’Italia stessa, e non c’è integrità né originalità fuori da questa. Essa è l‘acido delle nostre immondizie ma anche il valore dei decenni, è l’italiano della pioggia ma è anche l‘italiano del sole, quello che ama godere. L’acido delle vite medie è una sostanza simile a questo miscuglio, a cui neanche il cuore dei telamoni più furbi e indifferenti si salverà. L’acido delle nostre immondizie, il sale delle nostre droghe, i gas dei mass media, le scorie dei politicanti, le polveri del consumismo, tutta una vita inquinata, ed è questo che dà colore alla crosta. La nostra responsabilità è in questa teoria e in questa azione e senza assumerla si resta annichiliti. Ma come dobbiamo intervenire?

Vedo le nostre città sovrappopolate e i nostri paesi svuotati, e vedo i villaggi coi fienili della Romania che amo, quella non cittadina, dove i cavalli tornano alla stalla da soli. E vedo le belle città del Friuli, restaurate e verniciate come Pordenone, i cui fiumi però sono sporchi e cupi contro l’imperfetta igiene estetica di quei piccoli centri della Bosnia come Visegrad, i cui fiumi sono limpidi e magici. Vedo quindi l’ospitale Croazia dove abbiamo dormito (io e un mio amico) nel letto del proprietario, contro quell’Italia criminale che ovunque grida o sottace la stessa fobia anti-immigrazione (da Libero che titola”Islamici bastardi!” a Panorama che titola “Non passa lo straniero”). E vedo la Bulgaria dei giocatori di carte e della marmellata di rose, contro questa Italia del burraco on line e dei “quattro salti in padella”. Tuttavia, qui, se c’è, c’è un manipolo di pescatori siciliani che salvano i naufraghi immigrati e li accolgono in casa, contro l’Italia delle leggi anti-immigrazione. Qui, se c’è, c’è un romano che fischietta in modo così potente che sembra risarcire la mancanza degli altri. E quel napoletano che ancora pensa al teatro; e forse, sempre se c’è, c’è anche un poeta nuovo, da qualche parte, che sta mettendo in poesia tutto questo, e così affila i coltelli che serviranno. In questa Italia c’è sicuramente qualcuno che ancora la fa splendere, nei bassifondi della realtà, nella storia dei piccoli gesti, nell’azione carica di umanità, contro la stasi che ovunque domina, contro il genocidio silenzioso che si consuma nel Grande Stagno. Una qualche traccia d’Italia, se c’è, è nel sangue nuovo dell’immigrato sorridente e calmo, di suo figlio che cresce come un nuovo italiano; e a volte questo nuovo italiano è anche un nuovo poeta (basta vedere quanti “scrittori migranti” stampano stabilmente in Italia e di conseguenza rifiutano la definizione qui virgolettata). E sul piano della poesia italiana non scritta ma incarnata è il giovane immigrato puro che dà se stesso nel cuore d’Italia. Vedo l’arabo nella frutteria (il mago fruttarolo), vedo il bangladese dietro le fette di cocomero o dietro la caldana delle castagne (poesia tutta romana). continua nel post successivo

All’Italia Iª parte



All’Italia IIª parte


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Era l’anno 2010 d.c. quando sono stato preso da una forma di poesia che si staccava dalla carta e dalla scrivania-camera-casa del poeta per darsi in modo nuovo e con maggiore determinazione verso il mondo, per mezzo di immagini in sequenza e della mia voce, tramite il media di internet e “azioni di poesia”. Sembra passato molto tempo da quel 2010 d.c., ma se è così per me, in quanto essere vivo, non lo è per la morta Italia.Uso il riferimento al calendario cristiano solo per sottolineare l’importanza del tempo, dato che, essendo io un essere spirituale, detesto naturalmente ogni religione costituita. Il riferimento temporale ci serve a pensare: un’intera storia di millenni è ormai trascorsa – fino al punto di non essere neanche più percepita… in questo Paese storicamente morto. Morto di una morte tutta italiana sebbene anche con regie e guide estere, come vedremo nel proseguo di questo blog ( ma chi vuole può disertare questa lettura e volare subito al mio video I demoni del denaro https://youtu.be/hFOSNHe4rNk) – Il tema della morte italiana è il motivo di questo blog e lo argomenterò in modo più articolato e circostanziato possibile per mezzo di questo blog nato apposta per guardare tale morte in faccia e, possibilmente, distruggerla. Questa morte italiana è infatti il principio di tutto. E’ la matrice di un italiano che non accetta di morire; che afferma la propria vita crescendo come feto da una madre assassina; che infine non mangia la propria vita come un comune cannibale italiano (l’italiano medio è un cannibale); che non divora dunque, da uomo, la propria sopravvivenza, da artista, la propria arte, ma cerca di forgiare nuova vita e nuova arte (da cui il nome di Poetainazione, nato “da una donna morta”, come direbbe Pasolini). Nel mio caso umano e artistico, questo italiano e poeta non morto dà luogo, nell’anno 2010 d.c., a una forma “nuova” di poesia e di azione: la poesia in azione. Ne tratterò qui, forse un po’ ottimisticamente, come di una seconda vita, ma non sono proprio sicuro che lo sia. Per esserne sicuro dovrei essere sicuro di essere vivo, dovrei sentirmi vivo veramente e con prove alla mano; oppure dovrei essere giudicato da qualcuno che sia vivo veramente, ma chi lo è di voi? Fatto sta che un altro poeta al posto di quello obsoleto del 1900 e degli inizi del 2000 è nato, nel tempo. Siamo dunque tornati al tempo. Ma il riferimento temporale è comunque una convenzione, come lo è diventata quasi ogni cosa istituita in questo Paese. Lo stesso Stato italiano, la stessa democrazia, la stessa religione da cui ricaviamo il calendario e moltissime altre cose istituite di cui “viviamo” da decenni. Nel tempo della morte italiana molte cose sono diventate convenzionali, molte altre fanno troppo presto a diventarlo, e se volete seguirmi in questo viaggio macabramente chirurgico molte di queste cose le osserveremo e le discuteremo insieme, se vorrete controbattere. Il blog nasce naturalmente per questo, per tessere un dialogo. Solo con il dialogo possiamo inchiodare questo tipo di morte. Ma dovete avere la forza di leggere, di concentrarvi, di pensare, di interrogarvi. E soprattutto dovete avere la forza di essere vivi.

Insomma, anche per poter dire che siamo morti dobbiamo collocarci nel tempo, riferirci a qualcosa di passato. In un momento privo di storia e traboccante di suggestioni pseudo-storiche provenienti da fonti infinite ( i primi esempi che mi vengono sono La lega con i suoi scudi crociati, i libri premiati al Campiello 2015, il film Vincere! di Bellocchio…), la mia intenzione non è certo di associarmi a questo falso. La storia non esiste più, è un’altra defunta in questo panorama di spicciola e squallida cronaca. Creare o aggiungere suggestioni in questo senso sarebbe come associarmi a una banda di delinquenti (politici, produttori, editori) o a una massa di nostalgici (gli elettori della Lega, gli spettatori immedesimati, gli scrittori premiati, i registi). Tra le rovine dell’attuale civiltà italiana cosa si salva? Questa è certo una domanda sensata, a cui proprio la morte offre un senso, e nelle videopoesie che fra poco vedrete – con cui rinasce il poeta – c’è infatti la morte italiana ma anche la vita italiana, o meglio una forma di vitalità sopravvivente. Nelle due videopoesie All’Italia abbiamo sia le rovine civili romane antiche sparse per l’Italia di oggi: gli obelischi, gli archi trionfali, i tanti monumenti, sia le rovine civili italiane odierne: la televisione, i vip, le banche, le merci. E abbiamo la nostra passata civiltà: contadini, pastori, operai, sottoproletari, insieme con altre forme di civiltà e vitalità definitesi in questi ultimi decenni: immigrati, clown dottori, figure grottesche di poeti ( il cui padre è forse Ginsberg?).

Ma tutto questo, alla fine, è come avvolto dalla nebbia, anzi, è parte stessa della nebbia. Anche le rovine più solide, infatti, se da una parte esistono e resistono quali esseri di pietra, da un’altra parte sono come sperse e spente, erose proprio in quel loro senso meno concreto che ci interessa di più: la nostra civiltà, la vita del nostro popolo, la verità della nostra gente, la nostra memoria, la nostra storia, la forza della nostra presenza. In tal senso queste rovine non sono più solide di quei fantasmi che vorticano sui sentieri di campagna, non altro che foglie morte e polvere sollevate dal vento. Una grossa nuvola di polvere è il Colosseo, e non è Paestum con i suoi mosaici e i suoi smangiati muretti rossicci più solida di un banco di nebbia. Tutte cose diventate convenzionali e nebulose, suggestioni obsolete, temporanee, quando ci spingiamo (a forza) ad ammirarle, a visitarle. Tutte rovine mantenute dai restauratori; altra parola obsoleta, figlia della restaurazione, amica della conservazione – ma cosa conserviamo se ogni tempo qui è morto? Conserviamo un valore artistico; per chi? per gli storici che compilano libri?. Teniamo un valore storico, per chi se la storia è caduta? Un valore simbolico, un segno; ma per quale simbologia, quella moderna?per quale semiotica, quella del consumismo? E infatti ci accorgiamo, passata la visita, conclusa la passeggiata, scattata l’ultima fotografia, che tutto ricade nell’oblio di sempre, sia per i giapponesi raggruppati, sia per gli americani arrampicati sul monumento che urlano cheese, sia per noi che non siamo più una cultura diversa da quella, e forse, più di loro, non siamo più.

Nella mia immaginazione si determina tuttavia un parallelo tra il Colosseo coi suoi giochi antichi (i cristiani sbranati dai leoni) e le rovine della nostra civiltà attuale. Tra le pietre aride del Colosseo imbevute di sangue lucente( i cristiani spirituali, non ancora resi convenzionalmente aridi dal potere religioso) e la morte generale dell’Italia, in cui un potere più materialista, pratico e ignorante di quello romano domina oggi.

Nell’Italia del 2010 ho concepito così la mia prima videopoesia, Nascere umani.

Qualche notte fa un poeta fecondato nell’Italia feroce è uscito dal testo. Forse mostruoso o forse solo naturale ciò che è nato è qui, da oggi stabilmente nel mondo. Nei prossimi giorni vedremo altre sorelle “Videopoesie”* nascere, le acque ormai sono rotte! Dalla notte tenteremo prima di farle arrivare al giorno poi di farle marciare, infine cercheremo di farle volare. Il vagito proclamato dovrebbe crescere in poetica bestemmia, se questa Italia non chiede altro che essere bestemmiata. E tutto questo affinché, smessa ogni bestemmia, finalmente ti potremo cantare, Italia che non chiedi altro che essere cantata.

Nascere umani – videopoesia (su youtube)https://youtu.be/SNmBvuR46jo

Born human – the videopoetry translated in english https://youtu.be/L8QcW_T3np0

NASCERE UMANI

Le “sorelle Videopoesie” (su youtube) sono queste: All’Italia Iª parte -videopoesia https://youtu.be/VyfSIFtzSbI

All’Italia IIª parte – videopoesia https://youtu.be/-NZyHD90DZQ

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