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Poveri scrittori italiani

Aggiornamento: 25 mar 2020

Dal Blog di Luca della Casa

https://www.linkedin.com/pulse/20140908194444-123659842-secondo-umberto-eco-inutile-inviare-manoscritti-se-non-si-%C3%A8-nessuno 📷 Luca Della Casa Owner, Designdcl Secondo Umberto Eco: inutile inviare manoscritti se non si è nessuno... Sep 8, 2014 · 1,369 views · 1 Like

Umberto Eco, uno dei miei autori preferiti, giustificava l’ostracismo dei grandi editori, il clientelismo e l’esistenza dei cortiletti intellettuali. Burp. In ogni modo, “Il nome della rosa” e “Il pendolo di Foucault” non avrebbero mai visto la luce senza la sua precedente attività come “tuttologo” e galletto nel pollaio. D’altra parte, come lui stesso afferma, non senza una certa arroganza: “E se il vicino di casa di Proust fosse stato tanto più bravo di lui e nessuno se ne fosse accorto. Per lui sarebbe tristissimo, per l'umanità basta Proust, e avanza." Riporto il pezzo del “Genio”, per chi non l’avesse letto. Meditate gente, meditate. Però se vi piace scrivere/leggere non lasciatevi avvilire: che si fottano i cortiletti stantii e forforosi ;P Caro XYZ, Rispondo volentieri al suo messaggio perché spero così di raggiungere altre persone che si trovano nella sua situazione, per dire loro candidamente come vanno le cose a questo mondo. Vengo anzitutto alla sua ultima richiesta, se io sia disposto a leggere il suo manoscritto. La risposta è no, e le ragioni sono tutte ispirate a un profondo principio di lealtà. Io (ma questa situazione è comune a molti scrittori e studiosi di una certa notorietà) ricevo ogni settimana almeno una decina di manoscritti (spediti da persone che non hanno avuto la delicatezza di fare come lei, e chiedermi prima se potevano inviarlo), dei generi più svariati, in gran parte racconti e romanzi, ma anche opere storiche o addirittura dimostrazioni sull'esistenza di Atlantide o del continente scomparso di Mu. A questi si aggiungono bozze di libri inviati liberalmente da editori stranieri che chiedono un blurb, e cioè una di quelle frasi di raccomandazione dell'opera che si stampano poi sull'ultima di copertina o in fascetta. Dieci manoscritti alla settimana fanno 520 all'anno. Una persona come me, che fa il professore universitario, dirige una rivista scientifica e due collane specializzate, è tenuto a leggere (e correggere, e rileggere) tesi di laurea voluminosissime e manoscritti inviati per la pubblicazione, per dovere d'ufficio, oltre a seguire quanto si pubblica nel proprio campo, per tenersi dovutamente aggiornato (anche se la mole di materiale che arriva è anche quella insostenibile). Anche a volersi eroicamente occupare degli altri manoscritti in arrivo, si può dedicare al massimo (diciamo) due ore giornaliere, strappate al sonno, alla lettura di tale materiale - a parte il fatto che, dopo aver letto per obbligo centinaia di pagine, ballano gli occhi. Tenuto conto che per leggere (bene) un manoscritto che può andare da cento a quattrocento pagine, anche procedendo a tre minuti a pagina (che è lo standard della lettura veloce ad alta voce), calcolando un libro medio di 250 pagine, saremmo a dodici ore, e quindi 24 giorni per libro, i conti sono facili da fare. 24 giorni per 250 libri fa 4000 giorni, e l'anno ne ha 365. Pertanto chiunque (che non faccia il mestiere full time di lettore per una casa editrice), ricevendo un manoscritto promette di guardarlo, mente. Al massimo lo annusa, ne legge le prime righe, ed emette un giudizio evidentemente poco fondato. A me non piace ingannare la gente in questo modo. La informo di un altro particolare, su cui nessuno ha mai detto la verità. Quando l'autore noto di una casa editrice invia alla direzione un manoscritto che ha ricevuto, dicendo che vale la pena di prenderlo in considerazione, rarissimamente gli si dà ascolto. Vige la persuasione che l'autore noto abbia rifilato loro qualcuno che lo stava sottomettendo a molte pressioni e che se la sia cavata in quel modo. È triste ma è così. Passiamo ora alle case editrici. Per antica e fondata esperienza non credo alle case editrici che sollecitano manoscritti. Di solito cercano autori a pagamento, sono disposte a pubblicare qualsiasi cosa e se non rispondono è perché ne hanno già troppa. Sul funzionamento di queste case si veda cosa racconto nel mio Pendolo di Foucault a proposito del signor Garamond. È un romanzo, ma fondato su fatti reali. Una casa editrice seria e importante, che non sollecita pubblicamente manoscritti, ne riceve comunque tantissimi - certamente cento volte più di quanti ne riceva io. Di solito (ma non esiste una regola generale) cerca di farli guardare tutti. È improbabile che li possa leggere il direttore editoriale (altrimenti non avrebbe tempo per dirigere), e spesso li si affida a lettori esterni. Quando lavoravo in una casa editrice ne conoscevo uno, intelligentissimo e con una penna intrisa nel vetriolo, che passava la giornata sdraiato sul letto e leggeva tutti i manoscritti che riceveva. Queste letture gli venivano pagate con molta parsimonia, ma tutto sommato così campava. Li leggeva davvero, e mandava giudizi di fuoco - anche se qualche volta esprimeva rispetto e ammirazione per qualche testo. In casa editrice si faceva fatica a leggere tutti i giudizi, di una o due cartelle, che costui inviava giorno per giorno. Io adesso non ricordo bene (anche perché di solito i manoscritti in arrivo sono di carattere narrativo, e io mi occupavo solo di saggistica) ma non ho presente alcun manoscritto che sia poi diventato un libro. Perché? Anzitutto si legga il gustoso libretto di Fabio Mauri, I 21 modi di non pubblicare un libro (Bologna, Il Mulino, 1990; per questo libro ho scritto una prefazione: Chi manoscrive è perduto). Riassumendo, un bravo editore è ansioso di scoprire nuovi talenti ma non si fida dell'autore che spunta improvvisamente dal nulla. Va cercare il talento là dove si forma, così come avviene nello sport, ed è raro che qualcuno arrivi ad essere assunto come centravanti della Juventus se non è stato scoperto e apprezzato mentre giocava in una squadra di serie B, e prima di serie C, e prima ancora nella squadra della polisportiva locale o dell'oratorio salesiano. La vita letteraria, almeno dai tempi di Catullo sino a oggi, è fatta di gruppi, di persone anche giovanissime che s'incontrano e si scambiano i loro lavori, poi li pubblicano su una piccola rivista, poi su una più nota, e passano, per così dire, una prima selezione da parte dei loro pari. Ed è lì che l'editore va a cercare le personalità interessanti. È verissimo che può esistere anche il genio sconosciuto, che vive in un paesino isolato dal mondo, ma di solito ogni attività "creativa" si svolge tra gli altri, e in questo modo si affrontano i primi giudizi, si impara. Se un editore cerca qualcuno capace di fargli una buona biografia di Giulio Cesare, va a sfogliare le riviste di storia, o i programmi dei convegni sulla storia romana. Solo così sa che una persona, che sostiene di essere esperta su Giulio Cesare, è già stata valutata da chi segue queste cose, e ha così una prima garanzia. Ma lo stesso avviene anche per i giovani poeti, che incominciano ad apparire su piccole riviste di poesia, o ricevono il premio di poesia per i liceali di Roccacannuccia, e iniziano a farsi conoscere. Se non hanno saputo arrivare almeno sino a quel punto, dove stavano, con chi si misuravano? Il genio solitario non è mai escluso, ma quando si legge di scrittori ignorati in vita e scoperti dopo la morte, esempio massimo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si vede che in vita frequentavano cenacoli letterari, erano stimati da molti scrittori magari meno bravi e più fortunati di loro, non erano affatto dei selvaggi spuntati dal nulla. Raramente un grande giornalista è arrivato al quotidiano nazionale senza prima aver mostrato le sue qualità sulla gazzetta locale, o addirittura sul bollettino parrocchiale. Chieda ai grandi giornalisti. Le diranno tanti che hanno fatto una lunga gavetta e solo così sono diventati poi notissimi - anche perché far la gavetta vuole dire migliorare lentamente giorno per giorno. Questa persuasione, che gli editori hanno, che di solito è meglio cercare i futuri campioni in palestra, è giusta, e il più delle volte ha funzionato. Quindi, ai giovani che mi chiedono come fare pervenire un loro manoscritto al grande editore, io dico di non bruciare le tappe, e iniziare a farsi conoscere tra quelli che, come loro, scrivono, e pubblicano lentamente le loro prime prove. Potrei aggiungere che io, neppure da giovanissimo, ho mai mandato manoscritti a case editrici. Ho aspettato che un editore, leggendomi altrove, mi abbia proposto di fare qualcosa. È passato del tempo, ma ho sempre sostenuto che se sei caporale devi darti da fare per diventare sergente, senza voler diventare generale di un colpo. Se poi qualcuno dice orgogliosamente che non vuole sottoporsi al giudizio dei suoi pari ma è disponibile solo per il grande editore, e non vuole fare gavette, perché è convinto di avere scritto un capolavoro (e magari è vero) deve anche pagare per il suo legittimo orgoglio, e spesso accontentarsi di avere scritto un capolavoro, anche se gli altri non gli danno retta. Aspetti la riscoperta dei posteri, nella storia è accaduto. Passiamo alle lettere degli editori. Un editore che non risponde all'invio di un manoscritto (anche se qualche tempo dopo, perché abbiamo visto che, se lo fa leggere, gli ci vuole del tempo) è scortese. Un editore che risponde con la formula solita ("i nostri programmi sono già definiti per due anni"), è un editore per bene, e nessuno può lamentarsi se ha fatto il suo lavoro, che è anche quello di respingere almeno l'ottanta per cento delle proposte che gli arrivano. Quanto alla sua richiesta di ricevere almeno un giudizio sincero come "la sua opera è una schifezza", ho conosciuto redattori editoriali che scrivevano all'autore perché e dove la sua opera non funzionava, invitandoli a rivedere il lavoro, ma di solito ricevevano in cambio lettere di insulti. Una volta è accaduto a me di scrivere almeno tre cartelle di analisi critica per dire a un signore (distinto professionista) perché il suo lavoro non andava bene e cosa avrebbe dovuto fare per migliorarlo, e qualche tempo dopo quel signore mi ha mandato copia di lettera inviata a un celebre brigatista rosso in carcere, dove lo invitava a dire ai suoi compagni a piede libero di punire non solo i loro diretti avversari politici, ma anche i detentori del potere mafioso editoriale (io nella fattispecie). Questo spiega perché è più comodo per l'editore declinare il manoscritto con una lettera cortese senza compromettersi troppo. Inoltre, se non esiste una editoria di stato, come nei paesi sotto dittatura, una casa editrice è una azienda privata e ha il pieno diritto di pubblicare quello che vuole o che ritiene più redditizio (magari non sempre in termini di denaro, ma anche di prestigio). Se sbagliano, peggio per loro. Editori famosi hanno rifiutato opere, di grande valore letterario o di grande successo commerciale, come Via col vento, Il gattopardo, Il Tamburo di latta, Lolita, e via dicendo, mentre altri sono stati più accorti. Un editore francese, tra l'altro carissimo amico e lettore molto fine, mi ha rifiutato Il Nome della Rosa (per carità, non glielo avevo mandato io, semplicemente lo aveva visto in catalogo dall'editore italiano) dicendomi "la balena è troppo grossa e non può funzionare commercialmente". Invece un suo concorrente l'ha pubblicato, e gli è andata bene. È la vita editoriale. Ci sarebbe un modo per venire incontro all'autore solitario, evitandogli penose trafile? Forse c'è ma, dal secolo XV, quando è stata inventata la stampa, non è stato trovato. È certo che nei secoli hanno trionfato autori pessimi (ma poi i posteri hanno fatto giustizia), e sono stati lasciati cadere nel nulla autori bravissimi. In letteratura non vale il principio della selezione darwiniana, per cui sopravvivono solo i più forti (ma poi anche lì, perché hanno dovuto scomparire i dinosauri, che erano tanto buoni e simpatici?). Però, se ci voltiamo indietro, ci accorgiamo che tanti autori veramente importanti, che ai loro tempi avevano subito vari ostracismi, ci sono rimasti, e quindi si vede che in questa giungla, sia pure col sacrificio di tanti meritevoli innocenti, la vita è andata avanti in modo ragionevole. E se il vicino di casa di Proust fosse stato tanto più bravo di lui e nessuno se ne fosse accorto. Per lui sarebbe tristissimo, per l'umanità basta Proust, e avanza. So che con queste mie considerazioni non l'ho consolata. Ma, quando ero studente, un mio giovane maestro aveva fatto una conferenza intitolata "La filosofia non consola", e da quel titolo (anche se non ricordo il contenuto) ho imparato molto. Ci sono due modi di consolare: uno è di dare false illusioni, ed è disonesto; l'altro è di spiegare come vanno le cose a questo mondo, così che gli altri, anche se non intendono adattarsi all'andazzo corrente, sappiano almeno come si può reagire. UMBERTO ECO Poeta InAzione Sig. Luca Della Casa, vedo che qualcuno mette in dubbio il fatto che il professorone dei cortiletti stantii, forforosi "e solforosi"( aggiungerei io) le abbia inviato questa lettera, che lei ha ovviamente trascritto nel suo blog, commettendo il refuso del nome.Io invece mi fido di lei (perché avrebbe dovuto inventare una cosa del genere?), ma per evitare equivoci e illazioni le consiglierei di scansionare o fotografare la lettera di Umberto Eco e allegarla al suo post. Ma veniamo alla lettera. Alla terribile gavetta, ai dinieghi che ha dovuto subire il professor Eco… all'ostracismo suo! Ahi, che lettura infelice. Ma necessaria, e dobbiamo ringraziarla tutti, sig. Della Casa, perché è un pezzo che mancava alla nostra raccolta. Vorrei che tutti leggessero questa lettera e la commentassero come si deve, prendendo posizione. Vorrei che la leggessero gli studenti di Eco, i suoi collaboratori, ma soprattutto i tanti poeti e scrittori italiani che sono costretti a stare nell’ombra perché non hanno angeli protettori nel paradiso editoriale, o dovrei dire demoni, nell’inferno di questo nostro panorama culturale. Così dicendo io so di dichiarare tutta la mia rabbia e la mia utopia, la quale postula un ostracismo al contrario! L’ostracismo dei professoroni integrati nel sistema e piloti del sistema, degli scrittori che godono delle grazie della politica (Erri De Luca, Baricco, Tabucchi, Camilleri, etc.) e di tutto questo panorama infernale che è la cultura italiana odierna. Oggi in Italia chi scrive senza amici né raccomandazioni, non compromesso ma anzi volutamente estraneo al mondo editoriale delle leccate, delle serate, dei premi, delle rivistine dirette sempre dagli stessi… è necessariamente isolato. Mentre ai tempi della giovinezza di Eco, un poeta come Sandro Penna, completamente solitario,poteva affermarsi anche soltanto inviando i suoi manoscritti. Ed è stato così che Montale lo ha scoperto e lo pubblicato. E come lui molti altri. Ma allora c’erano i Montale, i Pasolini… Oggi invece abbiamo gli Eco. Il nostro Eco che non ha fatto gavetta, perciò non aiuterà mai un "gavettino". Lui che viene dal mondo accademico e là aveva già i suoi amici, i suoi colleghi, i suoi professori inclini, i suoi editori vicini.  Ma anche gli editori, negli anni ’60 e ’70, erano molto più seri, coraggiosi, e tenevano al nuovo, al genio, non solo ai classici da stampare e ristampare, magari anche con il gadget in regalo; per il puro denaro, per il controllo sul mondo. Il nostro principe dei cortili stantii non ha dovuto fare alcuna gavetta e non ha dovuto patire questo ostracismo a cui noi scrittori e poeti italiani di oggi siamo costretti. Certo, da una parte stiamo meglio, perché restiamo nella nostra acqua di alta montagna, sconosciuta e perciò anche limpida. Ma le nostre opere (non solo i testi, ma le nostre stesse azioni di persone) si avviliscono, così non lette e non diffuse. E in special modo se sono opere civili, indirizzate a destinatari vivi e attuali, non astratti o futuri. I nostri apporti alla società vengono arrestati, impediti, e lo dico per un senso più ampio dell'essere scrittori, ben al di là della mera pubblicazione (!).  Lei lo sa, caro Della Casa, che qualche anno fa ho vinto un premio di poesia ma non l’ho mai ricevuto? Una pubblicazione monografica che non mi hanno mai dato!?  Ed ho almeno venti lettere di case editrici (anche molto note) che mi fanno proposte editoriali molto sibilline e tutte a pagamento. Ho anche una lettera della Campanotto editore scritta per metà al computer per metà a penna; nella seconda metà nominano il denaro che devo versare. Denaro che ovviamente non ho mai versato! poiché non ha senso essere riconosciuto come “scrittore pagante”, ma ha senso solo essere riconosciuto come scrittore “meritevole”. Altro che il libro di Mauri, io consiglierei gli Annuari di Giorgio Manacorda! Prima che il critico militante smettesse di militare, i suoi annuari sullo schifo del mondo editoriale italiano odierno erano una cosa preziosa, almeno quanto i libri di Daniel Estulin sul club Bilderberg e sulla Potenza.  Lo stesso poeta e critico Giorgio Manacorda fu caldeggiato da Pasolini (vedi "L'io che brucia", raccolta di poesia), che leggeva e aiutava gli scrittori nuovi senza chiedere niente e senza lamentarsi, per puro senso civile e progressista. Qui invece siamo,come dice bene lei, allo stantio, al chiuso dei cortiletti universitari, editoriali e politici. E a proposito di ambienti chiusi ed elitari, sapeva che il sig. Eco è membro dell'Aspen Institute, dove s'incontra con D'Alema, Fini, Tremonti e altri soggetti sporchissimi tra industriali, editori, grandi società private? Tramano “sulfureamente” dietro le nostre spalle, e poi ci danno lezioni di vita. Ma nel nostro pantano sono implicati anche molti scrittori e poeti primedonne! Ci metterei pure quell’Elio Pecora che va in televisione, pubblicizza la sua rivista Poeti e Poesia - alla quale sono stato invitato anch’io a partecipare (ovviamente pagando una quota) - e non aiuta nessuno a uscire dall’ombra, anzi la conferma. Qui sarebbe necessaria una riscossa totale da parte nostra. Perché non formiamo un setta piratesca e andiamo all’arrembaggio del “potere kulturale”, smascherandolo, attaccandolo in ogni modo, denunciandolo anche all’estero? Solo noi che siamo italiani possiamo, e dobbiamo, prenderlo a schiaffi. Magari possiamo cominciare proprio dando la caccia agli Eco, stanarli dalle università, etc. Io non chiederei loro niente, ma gli opporrei quella che negli anni ’70 si chiamava controcultura. Non mi dilungo oltre e la saluto invitandola a vedere il mio video I demoni del denaro, in cui c'è anche il nostro sulfureo principe della forfora accademica quale membro della paramassoneria Aspen. E la invito a vedere il mio blog (poetainazione), dove riporto questo suo post, la mia risposta e un volante approfondimento critico su alcuni scrittori e autori italiani. Un saluto caro a lei che ha pubblicato questo post triste ma importante. Massimiliano Gusmaroli/Poetainazione MA COME SI DICE: NON STUZZICARE IL CAN CHE DORME, ED ECCO CHE IL CANE DENTRO ME E’ STATO NECESSARIAMENTE STUZZICATO! UN CANE CHE PER LA VERITA’ NON DORME MAI E DOVE PUO’ RACCOGLIE L’OSSO DELL’OCCASIONE, SE QUESTA SERVE A MORDERE IL POTERE DEI SOLITI NOTI. HO CONTINUATO QUINDI IL MIO CAGNESCO VAGABONDAGGIO SU INTERNET, ZAMPE AFFONDATE NEL PANTANO DEI DOTTI PROFESSORI, DEI DOCENTI UNIVERSITARI-POETI, DEI BRAVI SCRITTORI DA CORTILE (QUELLI CHE DI TANTO IN TANTO ABBAIANO MA NON MORDONO MAI), DEI GIORNALISTI DELL’APPARATO CHE RIEMPIONO LE LIBRERIE, DEGLI STESSI EDITORI-SCRITTORI, DEI POLITICI-NOVELLIERI, DEI CANTANTI-DRAMMATURGHI, DEGLI ATTORI-ROMANZIERI. VOGLIO QUINDI RIFERIRVI CHE COSA HO TROVATO ANDANDO A ZONZO NELLO SPORCO DELLA CULTURA UFFICIALE. ECCO QUI: http://www.corriere.it/cultura/15_febbraio_21/gli-autori-mondadori-rcs-questo-matrimonio-non-s-ha-fare-94f21a8e-b999-11e4-ab78-eaaa5a462975.shtml L’APPELLO Gli autori: Mondadori-Rcs questo matrimonio non s’ha da fare


Il documento promosso da alcuni scrittori del marchio Bompiani e sottoscritto da altri autori di case editrici diverse di Umberto Eco e altri 47 scrittori e autori



Foto: Umberto Eco Pubblichiamo un appello promosso da alcuni scrittori del marchio Bompiani e sottoscritto da altri autori di case editrici diverse. Mercoledì scorso Mondadori ha sottoposto a Rcs MediaGroup una manifestazione di interesse non vincolante per l’acquisizione dell’intera partecipazione detenuta dalla società in Rcs Libri, pari al 99,99% del capitale. Anche il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini giovedì si è chiesto «come funzionerebbero le cose in un Paese con un’unica azienda che controlla la metà del mercato, con l’altra metà frammentata in piccole e piccolissime case editrici». L’appello Noi autori della casa editrice Bompiani (insieme ad alcuni amici che pubblicano presso altri editori, intellettuali e artisti) manifestiamo la nostra preoccupazione per il ventilato acquisto della Rcs Libri (che comprende le case editrici Adelphi, Archinto, Bompiani, Fabbri, Rizzoli, Bur, Lizard, Marsilio, Sonzogno) da parte della Mondadori. Pur rispettando l’attività editoriale della casa acquirente ci rendiamo conto che questa fusione darebbe vita a un colosso editoriale che non avrebbe pari in tutta Europa perché dominerebbe il mercato del libro in Italia per il 40 per cento. Un colosso del genere avrebbe enorme potere contrattuale nei confronti degli autori, dominerebbe le librerie, ucciderebbe a poco a poco le piccole case editrici e (risultato marginale ma non del tutto trascurabile) renderebbe ridicolmente prevedibili quelle competizioni che si chiamano premi letterari. Non è un caso che condividano la nostra preoccupazione autori di altre case: questo paventato evento rappresenterebbe una minaccia anche per loro e, a lungo andare, per la libertà di espressione. Non ci resta che confidare nell’Antitrust. Gli autori Roberto Andò, Nanni Balestrini, Sergio Bambarén, Franco Battiato, Tahar Ben Jelloun, Ginevra Bompiani, Pietrangelo Buttafuoco, Rossana Campo, Furio Colombo, Mauro Covacich, Michael Cunningham, Andrea De Carlo, Roberta De Falco, Paolo Di Stefano, Luca Doninelli, Maurizio Ferraris, Mario Fortunato, Fausta Garavini, Enrico Ghezzi, Paolo Giordano, Giulio Giorello, Hanif Kureishi, Raffaele La Capria, Silvana La Spina, Lia Levi, Dacia Maraini, Mario Martone, Michela Marzano, Laura Morante, Carmen Moravia, Edoardo Nesi, Aldo Nove, Nuccio Ordine, Roberto Peregalli, Sergio Claudio Perroni, Aurelio Picca, Thomas Piketty, Lidia Ravera, Antonio Scurati, Amina Sboui, Toni Servillo, Simona Sparaco, Susanna Tamaro, Chiara Valerio, Giorgio Van Straten, Sandro Veronesi, Drenka Willen. 21 febbraio 2015 | 09:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA COME VEDETE QUESTO APPELLO HA SOLO UN ANNO. FIRMATO DA BEN 47 SCRITTORI E “AUTORI”, COME DICE UMBERTO ECO DAL CORRIERE DELLA SERA (UNO DEI GIORNALI PIU’ MONOPOLISTICI E DI REGIME CHE ESISTONO -VEDI MAPPA ALLA FINE DEL POST *). LA PAROLA AUTORI E’ INTERESSANTE PERCHE’ DICE TUTTO E NIENTE, E COSI’ OFFRE IL FIANCO AL PENSIERO UNICO RCS-MONDADORI E AI SUOI MOLTI AUTORI E POCHISSIMI SCRITTORI. MA VEDIAMO CHI SONO I FIRMATARI DELL’APPELLO. L’appello è firmato per almeno un quinto da attori, registi,cantanti e sceneggiatori-non scrittori: Roberto Andò (regista, sceneggiatore), Franco Battiato (cantante famoso), Roberta De Falco (sceneggiatrice per cinema e televisione), Mario Martone (regista, sceneggiatore), Laura Morante (attrice famosa), Toni Servillo (attore famoso). Hanif Kureishi è un caso particolare perché lavora come sceneggiatore ma è anche scrittore. Per un altro quinto abbiamo quegli “autori” cresciuti e dovuti all’ombra della casta politica: Pietrangelo Buttafuoco (politico del MSI, poi di AN, uomo televisivo, etc.), Michela Marzano (politico del PD), Edoardo Nesi (assessore giunta PD, Lista Con Monti per l’Italia), Roberto Peregalli (architetto di Berlusconi). Vi è poi un altro quinto costituito dagli stessi editori e dai loro giornalisti: Ginevra Bompiani (figlia dell’editore), Paolo Di Stefano (Corriere del Ticino, La Repubblica) , Luca Doninelli (L’Avvenire, etc.), Mario Fortunato (Rai3, Panorama, etc.), Enrico Ghezzi (Rai3), Paolo Giordano (Il giornale), Sergio Claudio Perroni (agente editoriale), FurioColombo (giornalista, editore, anche politico). Poi abbiamo una discreta fetta di docenti universitari anche collaboratori di giornali: Maurizio Ferraris (docente universitario), Fausta Garavini (redattrice rivista Paragone, Nuovi Argomenti, docente universitaria), Giulio Giorello (docente universitario, giornalista del Corriere della sera), Michela Marzano (docente universitaria, politico del PD), Nuccio Ordine (docente universitario, collaboratore del Corriere della sera), Thomas Piketty (docente di economia, collaboratore a Le monde, Libération, etc.), Antonio Scurati (docente universitario, scrittore, collaboratore con il quotidiano La stampa ). E non potevano mancare le figlie e le mogli d’arte: Rossana Campo (anche se non sa scrivere è comunque la moglie di Nanni Balestrini), Carmen Moravia (moglie di Alberto Moravia), Lia Levi (figlia di Primo Levi). Poi ci sono i “veri scrittori”, o meglio quelli che mi sembrano i più autentici tra questi firmatari.  Per me autentico significa prima di tutto che lo scrittore è un fiume pulito e indomito, una vera penna (o tastiera) non compromessa e spontanea. Il vero scrittore non scrive per secondi fini (commerciali, faziosi, materiali, etc.) e non scrive in virtù di amicizie, compromessi, ambienti frequentati (cinema, televisione, politica, etc.) o per propria fama (perché è famoso) od eredità, fosse anche per eredità del suo stesso passato di scrittore o altro.  Il vero, anche se è il più vecchio che esiste, scrive sempre perché è vero e non perché lo è stato, o per un qualche diritto di nascita. Nanni Balestrini (per quanti danni abbia fatto alla letteratura italiana e quanto sia museale, è comunque un poeta), Sergio Bambarén (è una specie di delfino che non si è piegato alla sporcizia del mare!), Tahar Ben Jelloun (uno scrittore vero e amabile, sebbene sia amato anche dagli editori e dai giornali, e ciò non depone a suo favore), Dacia Maraini (per quanto sia oggi piegata in sé, è scrittrice da tempi non sospetti), Mauro Covacich (anche collaboratore di giornali, è invece scrittore dei tempi sospetti), Michael Cunningham (scrittore su cui non posso esprimermi e pertanto lo metto in questo magro "paradiso"), Andrea De Carlo (uno scrittore scoperto da Fellini, non so altro), Raffaele La Capria (scrittore prolifico ma tentacolare, anche collaboratore con il Corriere della sera e altri giornali), Silvana La Spina (scrittrice ancora da comprendere), Aldo Nove (poeta che fu dei “novissimi”, una vera collaudata ma che non esplode), Aurelio Picca (poeta, attore, scrittore: il suo poema beat “Io sono l’Italia” ha qualche cosa di vero ma solo a comprarlo, per leggerlo è introvabile su internet!), Lidia Ravera (anche lei scrittrice di un'altra epoca, oggi assessore alla cultura della Regione Lazio). Alcuni di questi nomi sono sicuramente veri, ma non si distinguono dai non veri, perché?  Perché in qualche modo partecipano a questa Italia mediatica falsa e sporca, e così non scrivono nella verità della letteratura, e cioè di se stessi, ma nella falsità della mistificazione e nella brutalità del monopolio. Chiara Valerio, ad esempio, è nata scrittrice o redattrice di Nuovi Argomenti? Sandro Veronesi inizia collaborando con la RAI, fratello dell'altro Veronesi, e anche lui sembra uno scrittore, ma questa sua vena è autentica o aiutata dagli ambienti che frequenta? Il caso di Drenka Willen sembra in parte rispondere a questa domanda. Siamo di fronte a un grande editor americano, editrice del Washington Post e di altri giornali legati occultamente a delle superpotenze economiche, perciò non mi meraviglierebbe se vincesse venti volte il premio nobel per la letteratura. Il caso di Amina Sboui, invece, credo sia un puro prodotto mediatico-politico rimbalzato dalla televisione e da facebook alla letteratura, e scommetterei sul fatto che il suo libro "best-seller" non è stato scritto da lei.  Ma qui siamo al prodotto commerciale crudo, perciò non importa chi lo scrive. Vi sono poi quelli che sanno “recitare bene scrivendo”, potrei dire. Simona Sparaco è oggi la versione aggiornata, degenerata e romana della triestina Susanna Tamaro di Va dove ti porta il cuore, ma quest'ultima, al di là dei media che l’hanno affermata e resa mediatica, è anche una scrittrice con cognizione e senso letterario, io credo. Simona Sparaco invece è solo "brava e bella", sempre che i suoi libri siano suoi, cioè scritti da lei. Ma se così non fosse allora avrebbe speso inutilmente 10.000 ero l'anno studiando "storytelling and performing arts" alla scuola Holden di Torino. Una scuola che insegna a scrivere libri privi di letteratura ma VENDIBILI. Termine che va inteso nell’accezzione della RCS-Mondadori: ovvero: libro = oggetto commerciale.  Come vedete io le considero già fuse. Fuse di fatto, nel pensiero unico mediatico-editoriale che i due grandi colossi monopolisti propugnano. Ed in questo senso l’appello qui sopra appare ridicolo. MAPPA DEI GIORNALI ITALIANI📷 Per vedere ingrandita la mappa cliccarci sopra. Ringrazio questo link :http://www.rivistapaginauno.it/Legami-stampa-industria-finanza.php

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