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Una goccia

Aggiornamento: 25 mar 2020


Dopo giorni

nell’inferno di questa Patria

che ormai si è dichiarata

“emergenza siccità”

la poesia è venuta


Una goccia o due

versate in questa notte,

irregolare precoce pazza puerile

solenne tragica Rugiada

su questa radice che io sono


Mezzo americano

sognante l’West,

così poco italiano

patata o fagiolo che sono

seminato da Thoreau


Allungato Fagiolaccio

tra erbacce e suolo patrio

sporco, letto spinoso e crespo

ingente d’ogni forma d’acqua

e monco di versi e d’aria, assetato


eppure così acquoso

per mari e fiumi e italici cuori

e vecchia amata Rugiada

in cui stiamo come Tantalo

poiché così è l’inferno


Con un ventilatore

cerchiamo risarcire quindi

corpi bruciati e persi,

le "anime in pena" dolenti

di cui i corpi son parte


Letti di sudore

raccoglitori di spoglie,

gialle tombe o dal colore

pastello capace, autoinganno!

momento felice del borghese


che in questo momento

consuma la sua intera vita,

finché il gran letto si lacera

sotto gli ansimi e scopre

materassi di piscio nero


Oro riposto a lingotti

da cuori balordi,

dai corpi assetati, Ego

di gente chiusa, e famelica

quando vaga per le strade


Ma, dopo giorni, una goccia

d’acqua salmastra,

o sia pure dolce,non so,

residuo di qualche mare vasto,

antico, che non c'è più


o di qualche antico fiume.

O forse è condensa di muro,

vasta muffa, oppure goccia su foglio

caduta da tazza-infuso da supermercato,

cicuta dolce... o sperma da porno


Ed è subito asciutta

nel giorno che segue,

dominio di normalità, Poesia

non più intima, su cui è più intima

in noi e più forte... Burocrazia


Borghese o nazista o gesuita

dominio di razionalità,

con buona facoltà di bagnare

fogli, dissetare per illusione

forse un'intera Nazione


ma non me.

Non chi ricorda Ieri

e conosce Oggi

e sa del tempo superiore dei poeti

la forma della Vera Goccia


Goccia di Rimbaud, Alberti...

goccia che moltiplica in rivolo

e per addestramento di sé

poi ingrossa, destra a dar versi

in reggimento, non uno solo!


Pasolini, Ginsberg...

per risarcire, per colmare

di sé una Patria intera, burocratica

razionale assenza intera d’Umanità,

in una notte sola.


***



Gli occhi servono a leggere o prevalgono molto più importanti?

– vedo certi flaccidi dotti riunirsi in brutte Università,

scrittori alzare appelli verso il proprio Editore (BUR),

occhiali televisivi e lenti spesse di burocrazia –

Va bene, torniamo alla domanda:

sono più importanti i tuoi occhi che leggono

beatamente in una notte chiara o nera

quando una lucetta alleata e amica

pian piano negli anni ti ama e ti acceca,

oppure sono più importanti i libri ?

Shakespeare e tutti i migliori poeti,

Dante, Goethe, Ginsberg, Emily

Lo spirito vola, l’anima è bella e il corpo bruto sta a terra?

– i corpi dei preti non sono meno insignificanti

dei corpi di quei scrittori e di questi burocrati bancari (BCE)

panciuti o consunti, nessuna conquista d’armonia –

E se torniamo alla domanda:

è più importante questo buio spirito

da prete incallito nei millenni,

da bancario, da impiegato assoluto

come Heichmann, del tutto privo di corpo,

o piuttosto l’anima esiste ed è buona

solo se è una lotta del corpo?

Michelangelo e tutti i corpi che lottano,

maratoneti, scalatori, apneisti, atleti

***

Il Dolore vero

di cui la piccola patria è parte

è una planetaria mancanza

è mondo

ma nessuno ha dichiarato

“emergenza dolore”

Dal dolore viene la mia Rabbia,

si dispone come freccia

su corda d’arco

e non c’è bisogno di toccarla

basta tirare la corda

con due dita inguantate

Perché la Rabbia è cosa fine

quando viene da fine Dolore

ed entrambi ci consegnano un arco

da toccare coi guanti

***

La rabbia. Sono noto per la mia collera.

Famiglia, amici, clienti, passanti,

il mio condominio, quello di fronte al mio…

chi non ha detto “lascialo perdere quello”.

Un giorno danzavo nell’erba, ché tutti i giorni

per un’ora m’alleno nel tai chi, nello squallore

dei giardini romani gonfi di mozziconi e vetri

e tappi di birra, tra le erbette non curate

depresse fino alla radura indicibile, urtante!

“Quello è pazzo e si vede pure che è pazzo”

disse quella col cane contro cui urlai.

“Quello mi ha sputato”, disse al suo ragazzo,

e infatti è vero: le sputai, col sangue agli occhi,

quando dal mio dao silenzioso come pianta

mi forzò nel suo dao rumoroso di padrona

urlante più del suo cane. Fu un grande scontro:

civiltà del rumore contro civiltà del silenzio.

Cani, figli piccoli, ragazzi stupidi, adulti feroci,

automobili, allarmi, moto che rombano,

operai che demoliscono, camion che nettano

i secchioni, autobotti col cemento, autospurghi

e poi l’ultimo drogato, l’ultimo alcolizzato romano,

l’ultimo urlo di un presunto padrone del silenzio.

Ma il silenzio non è tuo, è mio! Così è per natura.

La natura me lo ha consegnato, il silenzio,

come a un uccello, a una cicala, all’ultimo grillo padrone.

La stessa natura che al ventenne stupido col nasone

e cogli occhiali ha così presto tolto qualche grado,

mentre io ho così buona vista e quasi tutti i capelli neri.

Io animale di quest’Eden attraversato da carri armati,

io che imito la tigre e la gru ma senza emettere verso,

io che mi torco, nel paradiso più assurdo mai esistito,

e salto nell’erba e sbuffo e sbatto piede di Tai chi sulla terra,

sull’intero pianeta, tra mozziconi di nera civiltà,

con la mia rabbia pura, bianchissima, nera.

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